Intervista con David Smith, guru della progettazione di diffusori - prima parte

[Progetti di David Smith]
[English version]

Autore: Rahul Athalye
Traduttore: Roberto Felletti

TNT-Audio ha incontrato il famoso progettista di diffusori David Smith, ex-JBL, McIntosh, KEF, Snell e PSB. Unitevi a TNT e a Speaker Dave per intraprendere un viaggio nel cuore della progettazione di diffusori, della loro storia e delle tendenze attuali.

Rahul Athalye (RA): «Ci parli dei suoi inizi nel business dell'audio.»

David Smith (DS): «Quand'ero al college, era un hobby. Anziché studiare, trascorrevo ore nella biblioteca di ingegneria spulciando tra le riviste di audio e vecchie pubblicazioni AES (Audio Engineering Society). Probabilmente, ho ereditato l'interesse da mio padre, il quale aveva vissuto il primo boom dell'hi-fi domestico, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Sono cresciuto in una casa in cui l'hi-fi era autocostruito: altoparlanti JBL D130 in cabinet Hartley “Boffle” (un baffle infinito multistrato, smorzante) con tweeter University, un giradischi Presto, dotato di una copia giapponese del braccio Gray e un amplificatore autocostruito tratto dal “GE (General Electric) Transistor Manual”. Finito il college, trovai lavoro presso Essex Cletron, a Cleveland, un fornitore OEM di altoparlanti per diffusori; quando la loro sede di ingegneria fu trasferita, da Cleveland, presso lo stabilimento di Martinsville (che, in seguito, sarebbe diventato Harman Motive) cercai un po' in giro e trovai un altro lavoro presso JBL, in California. Lì, progettai una serie di prodotti destinati ad un uso domestico e alcuni importanti monitor da studio, compresi i JBL 4430 e 4435. Successivamente, lavorai presso KEF, nel Regno Unito, poi per KEF/Meridian in D.C. (District of Columbia, Washington, U.S.A.), dopo presso McIntosh a Binghamton e poi da A/D/S/ e Snell a Boston; più recentemente, presso PSB a Toronto. Da alcuni anni gran parte del lavoro è stato trasferito in Cina e, di conseguenza, in Nord America sono rimaste poche aziende con una vera divisione di ingegneria o con reparti che si occupino dello sviluppo dei prodotti. Attualmente, lavoro nel settore del cinema digitale per conto di un'azienda di Toronto.»

RA: «Lei ha lavorato sia nel campo dell'audio professionale (JBL) sia per aziende hi-fi (KEF): che differenza c'è tra i risultati progettuali dei diffusori pro e di quelli hi-fi?»

DS: «I diffusori pro sono molto più mirati. Se un cliente deve sonorizzare un auditorium da 500 posti, acquisterà esattamente un prodotto specifico che glielo consenta e non qualcosa che non sia completamente adatto allo scopo. Al contrario, un cliente “domestico” avrà maggiore discrezionalità sui prodotti da usare e potrà essere parecchio influenzato dalla moda, lasciandosi sedurre dalle emozioni (“Lo voglio” piuttosto che “Mi serve”). Entrambi gli aspetti rappresentano una sfida interessante. Generalmente, l'audio pro richiede il raggiungimento di un'emissione acustica maggiore e pone l'affidabilità sopra ogni altra cosa. Talvolta, ci si sente come se si progettassero autocarri, mentre si preferirebbe progettare una Ferrari. La progettazione di monitor da studio mi è piaciuta molto, perché essi si collocano piacevolmente nel mezzo dello spettro audio. Un'elevata emissione è importante, ma la precisione è un fattore chiave altrettanto importante. Nel corso degli ultimi anni, presso Snell e, fino a un certo punto, presso McIntosh, il mercato era trainato dalle installazioni personalizzate. Riguardo agli impianti home-theater di fascia alta, la gente voleva prodotti, con elevate prestazioni, che potessero essere racchiusi in cabinet o incassati nelle pareti. Io avevo pensato a soluzioni che fornissero una flessibilità di installazione senza compromettere le prestazioni. Se avete familiarità con le condizioni e gli aspetti limite che permettono di ottenere la direttività (ad esempio, guide d'onda mirate), potete avere elevate prestazioni anche quando, di primo acchito, sembra che le problematiche di installazione richiedano un compromesso.»

RA: «È possibile prendere in prestito caratteristiche dalla progettazione di diffusori pro per migliorare le prestazioni di quelli domestici? Quali dovrebbero essere gli obiettivi di un diffusore hi-fi?»

DS: «In ogni caso, ci sono molti aspetti intrinsecamente condivisi. Se si ragiona in termini puramente ingegneristici, possiamo estrapolare quanto segue: progettiamo un diffusore che deve avere una pressione sonora di X dB a una distanza di X metri (tenendo conto della potenza applicabile e della distorsione); l'ampiezza e la profondità dell'area di ascolto saranno X (tenendo conto della dispersione); e via discorrendo. Se considerato in questo modo, un prodotto non può essere definito “pro” o “domestico”; esso deve semplicemente rispecchiare particolari specifiche operative. Ho riscontrato che molta gente dimostra un interesse entusiastico per l'uso casalingo di impianti pensati per impieghi pro, specialmente apparecchiature vintage da cinema (ad esempio, grossi impianti a tromba). Sicuramente capisco il loro fascino, ma non credo che essi siano in grado di fornire il miglior suono possibile. Bisogna scendere a compromessi quando serve un determinato numero di watt per riempire un grande ambiente. Ho progettato prodotti a tromba con altoparlanti a compressione (in particolar modo, i monitor bi-radiali JBL). Sono fiero della realizzazione ingegneristica di quei prodotti, ma personalmente preferirei non avere impianti a tromba, in casa, poiché non ho bisogno di quei 15 dB extra di emissione sonora; mi piacciono di più le unità a cono e a cupola, la cui risposta è, intrinsecamente, più uniforme.»

“... ma personalmente preferirei non avere impianti a tromba, in casa, poiché non ho bisogno di quei 15 dB extra di emissione sonora; mi piacciono di più le unità a cono e a cupola, la cui risposta è, intrinsecamente, più uniforme.”

RA: «Sono state effettuate molte ricerche sulla psicoacustica e il libro di Toole è un importante riassunto di tali ricerche. Lei non solo ha lavorato con alcuni dei principali ricercatori, ma ha anche contribuito alla ricerca stessa. Qual è la sua opinione sulle scoperte e come si applicano a un ambiente domestico?»

DS: «Il libro di Toole è un'opera rivoluzionaria che vale la pena leggere e rileggere. Essa riassume decenni di ricerche di Floyd Toole sui diffusori, sulle misurazioni delle loro caratteristiche e sulla psicoacustica ad essi applicabile. Ritengo che possa essere definita come la nuova Bibbia sulle priorità degli impianti di riproduzione del suono, poiché copre l'aspetto percepibile di molte aberrazioni, misurabili, riscontrate nei diffusori, tra cui gli effetti prodotti dall'ambiente d'ascolto. Se collochiamo un diffusore in una tipica stanza riflettente, ed eseguiamo una misurazione molto accurata, il risultato sarà un'immagine sonora risonante e talmente confusa al punto che non sarebbe possibile stabilire se il diffusore suoni bene oppure no. Nel corso degli anni, abbiamo sviluppato molte soluzioni per rendere l'insieme omogeneo, allo scopo di semplificare l'immagine, pur senza avere concrete giustificazioni nell'adottare tali soluzioni.»

«Il lavoro originale di Toole, pubblicato in due parti nel 1982 (prima parte e seconda parte), presentava una graduatoria dell'ascolto di venti diffusori, scrupolosamente formulata in ordine di preferenza e di qualità, accompagnata, al contempo, da una vasta gamma di misurazioni effettuate su di essi. Veniva indicata quale misurazione fosse correlata con le preferenze dell'ascoltatore e quale non lo fosse. Una cosa simile è il massimo per un progettista di diffusori perché ci si potrebbe domandare: “Su cosa mi devo concentrare quando progetto un diffusore?”. Ogni cosa ha il suo costo e il mercato è competitivo. Dovrei spendere denaro per avere una risposta piatta della fase? Dovrei aggiungere componenti per livellare la curva dell'impedenza di sistema? Quanto bassa deve essere la distorsione? In altre parole, quali parametri, misurabili, devono essere correlati con le nostre impressioni soggettive?»

«Questa è la differenza sostanziale tra diffusori di produzione commerciale e tentativi fai-da-te. Il costruttore entusiasta può prendere ogni aspetto progettuale e stravolgerlo completamente, ma se si ha intenzione di sopravvivere sul mercato occorre pensare al rapporto qualità/prezzo. Le vostre scelte, in termini di costo, consentono all'utilizzatore finale di avere vantaggi sonori percepibili? Altrimenti state creando solo argomentazioni fittizie da demolire, tipo ridurre la distorsione a livelli inferiori alla soglia di udibilità sulla base della convinzione, sbagliata, che tale aspetto elimini gli altri.»

«Ebbene, ciò che, secondo me, la ricerca originaria di Toole mostra è che la risposta in frequenza assiale rappresenta il parametro numero uno. La risposta in potenza, o la direttività generale, sembra avere una scarsa correlazione con l'impressione soggettiva. Il motivo per cui essa è importante è perché indica come le curve ambientali (fortemente influenzate dalla risposta fuori asse, che si manifesta successivamente) possano essere fuorvianti. Se la dimensione dell'ambiente è maggiore, le curve ambientali saranno stabilite dalla maggiore risposta in potenza ed esse saranno ancor più fuorvianti. Comunque, ritengo che Toole si sia discostato leggermente da alcune tra le sue prime scoperte. A dispetto di ciò che i primi lavori di Toole mostravano, attualmente egli pone l'accento sulle curve ambientali, estendendone il concetto tanto agli ambienti grandi quanto a quelli piccoli.»

«Al momento, faccio parte di una delle commissioni della SMPTE (Society of Motion Picture & Television Engineers) che cerca di sostituire il metodo “X Curve” applicato all'equalizzazione cinematografica. Per anni, abbiamo saputo che trovarsi in un ampio spazio, piazzare un microfono, riprodurre rumore rosa dai diffusori e regolare la risposta piatta dava pessimi risultati, poiché essa era sempre troppo aperta. Quindi, questo cosa significa? Che qualcosa che risulta piatto alla misurazione suona anche aperto? Il fatto non rappresenta un problema con gli amplificatori o le apparecchiature di registrazione/riproduzione, in quanto ciò che è piatto suona piatto. Ritengo che ci siano molte spiegazioni in merito; è qualcosa legato alle capacità uditive umane e alla nostra abilità nel concentrarci sui suoni che percepiamo prima, mentre ignoriamo quelli che percepiamo successivamente, anche se questo è un concetto ancora nuovo, per molti, nell'industria.»

«In ambienti d'ascolto domestici, la differenza tra la prestazione anecoica e la condizione di equilibrio, la prestazione in ambiente, è leggermente minore alle frequenze superiori. Ma se le dimensioni dell'ambiente sono quelle di un auditorium o di un cinema, le differenze aumentano e la curva della condizione di equilibrio diventa molto fuorviante. Ci sono vari studi, di Kates, Salmi, Lipshitz e Vanderkooy, Bech, e altri, secondo cui noi giudichiamo l'equilibrio in frequenza con un approccio ampiamente basato sull'arco temporale. Il suono che si percepisce successivamente viene ignorato. Inoltre, questo arco temporale è lungo per le basse frequenze e breve per le alte frequenze. In effetti, è la condizione di equilibrio, o risposta ambientale, per le basse frequenze e, tipicamente, semplicemente la risposta diretta (anecoica) per le alte frequenze. Alle frequenze intermedie, esso potrebbe comprendere la riflessione del primo piano o della parete posteriore, ma le riflessioni secondarie, di solito, si trovano sotto la soglia di udibilità.»

“Non sarebbe bello disporre di un metodo di misurazione che replichi esattamente l'apparato uditivo umano, nonché il modo in cui noi percepiamo la risposta in frequenza? Si potrebbe eliminare completamente il fattore soggettivo.”

«Esaminare la percezione da questo punto di vista risponde a molte domande, compresa quella che pone la questione del perché la risposta in frequenza di un impianto debba essere attenuata in grandi ambienti d'ascolto: la risposta iniziale è intrinsecamente più aperta di quella successiva, a causa della crescente direttività dei diffusori, del crescente assorbimento ambientale e perfino dell'assorbimento dell'aria. La risposta in condizione di equilibrio piatto genererebbe un suono iniziale molto aperto, che noi rifiuteremmo. Il motivo per cui questo aspetto mi ha sempre affascinato, come progettista di diffusori, è che esso ci permetterebbe di progettare diffusori perfettamente equilibrati se solo riuscissimo a capire come funziona il nostro udito. Ricordate che, se accettiamo che lo scopo di un diffusore sia non aggiungere alcunché ed essere una lente neutra per il suono da riprodurre, dobbiamo ancora capire il significato di “neutro” o “piatto”? La risposta anecoica è piatta? La risposta di una stanza è piatta? La risposta in potenza è piatta? La risposta dell'arco temporale è piatta? In piccoli ambienti d'ascolto domestici, la risposta diretta dei diffusori e la risposta dell'ambiente (comprese tutte le riflessioni e i riverberi) non sono così distanti, forse una pendenza di 2 o 3 dB nella risposta ambientale quando il componente diretto è piatto. All'aumentare delle dimensioni ambientali, il problema è maggiore e le curve della condizione di equilibrio richiedono un'attenuazione di circa 10 dB (Cinema X Curve).»

«Il mio approccio attuale prevede la progettazione di una risposta anecoica piatta per la gamma media e superiore, per poi vedere come l'estremo basso interagisce con l'ambiente d'ascolto, effettuare molti ascolti e affinare il tutto per far sì che possa andare bene con una vasta scelta di software. Comunque, restano la sensazione che un po' di tweaking in più possa dare risultati migliori e il sospetto che io faccia in modo che il risultato sia piacevole con la musica che ascolto, piuttosto che ottenere un'accuratezza verificabile. Non sarebbe bello disporre di un metodo di misurazione che replichi esattamente l'apparato uditivo umano, nonché il modo in cui noi percepiamo la risposta in frequenza? Si potrebbe eliminare completamente il fattore soggettivo.»

[ Prossimamente, la seconda parte dell'intervista ]

[L'intervista continua nella seconda parte]

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