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Autore: Lucio Cadeddu - TNT-Audio Italia
Pubblicato: novembre, 2024
Cosa sia lo striptease lo sappiamo tutti: unione delle parole strip (levare) e tease (provocare), indica uno spettacolo nel quale una persona si denuda lentamente un capo per volta davanti a un pubblico. È, in pratica, tutto basato sulla faticosa arte dell'attesa che crea eccitazione. Il termine è stato utilizzato per la prima volta nel 1932, ma le sue origini come spettacolo d'intrattenimento sono molto più remote. Nell'antico mito sumero della discesa della dea Inanna negli Inferi (o Kur) ella si toglieva un capo d'abbigliamento o un gioiello dopo ciascuna delle sette porte. In Italia viene spesso utilizzato il termine, non esattamente elegantissimo, di spogliarello.
In un mondo dove ormai la nudità, completa, di uomini e donne è a portata di click, questo tipo di spettacolo ha perso parte della sua morbosità e sta lentamente cadendo nell'oblio. Tuttavia, l'istinto voyeuristico insito nell'uomo (inteso come persona) non può essere sopito ed ecco che grazie alla rete e a YouTube in particolare, è diventato di gran moda un nuovo tipo di striptease, quello che si chiama unboxing. Letteralmente significa procedura dell'apertura di una confezione. La rete ormai pullula di video dove una persona apre lentamente una confezione di un bene di consumo e ne mostra ogni singolo contenuto allo spettatore. Si suppone che questa moda sia iniziata con i prodotti tecnologici nel 2006, quando un'azienda ha filmato l'unboxing del cellulare Nokia E61. Google Trends mostra che l'interesse per il termine “unboxing” è infatti iniziato alla fine del 2006 e da allora è aumentato in modo abbastanza costante, pur con una leggera flessione dopo il 2022.
Poteva la comunità audiofila non essere contagiata da questa tendenza perversa? Ovviamente no, ed ecco quindi che YouTube, e persino i siti e le pagine Facebook dei negozi di HiFi, pullulano di video dove qualcuno mostra come si apre l'imballo di un prodotto, tipicamente una novità del settore, ne estrae ogni singola parte con fare compiaciuto, descrivendone l'aspetto e la funzione (il manuale, i vari accessori etc.) fino a rivelare il corpo completamente nudo, ah no, scusate, l'apparecchio in tutto il suo splendore. Spesso queste sessioni di unboxing sono il dolce preludio a una sorta di recensione del prodotto, ma la maggior parte delle volte tutto si conclude, dopo almeno 10 minuti di video, con l'esposizione del contenuto e la sua descrizione, da ogni angolatura.
Il perché questi video di unboxing sono lunghi è duplice: da una parte solo i video lunghi consentono un'efficace monetizzazione da parte di YouTube (quindi chi li fa guadagna di più se allunga il brodo), dall'altra il prolungare dell'attesa è il vero motore del desiderio, esattamente come nello striptease tradizionale. Gli unboxer più spregiudiati intitolano questi video inutili con recensione o review, per attrarre più click. Ovviamente non recensiscono alcunché, se non la vostra intelligenza ;-)
L'aspetto voyeuristico è però solo una delle componenti del successo di questi video: “guardo ciò che non mi posso permettere”, che sia un bel corpo o un bel componente HiFi. Se non fosse una cosa tristissima, ci sarebbe da sorriderne.
Esiste tuttavia un altro aspetto, più profondo, ed è quello che gli inglesi chiamano vicariousness, che tradurrei in italiano come vicarietà sensoriale o esperienza sensoriale per interposta persona. In altre parole, si gode di un'esperienza sensoriale attraverso i sensi di un'altra persona, né più nemmeno come nella parafilia sessuale che prevede il piacere nel guardare il proprio partner compiere atti sessuali con una terza persona, senza esserne direttamente coinvolti. Quindi: posso immaginare di toccare quell'apparecchio e persino di possederlo, tramite le mani e le parole dell'unboxer. Questo, tra l'altro, è il motore stesso del consumismo, quello più becero: la pubblicità si muove seguendo le stesse linee di condotta. Non è un caso che sempre più aziende, Apple in primis, abbiano aumentato a dismisura l'attenzione verso la progettazione della confezione, che deve contenere tanti gadget, possibilmente delle vere e proprie scatole cinesi, per trasmettere al consumatore l'idea di aver acquistato qualcosa di prezioso ed esclusivo. Si sposta dunque l'attenzione dal prodotto alla sua presentazione il che, evidentemente, è molto pericoloso, perché noi acquistiamo il prodotto, non una sua rappresentazione. E i nostri soldi sono veri, non rappresentati. Tutto questo imbellettamento non sarà invece finalizzato a mascherare una qualità del prodotto non esattamente irresistibile, un po' come le foto ritoccate di uomini e donne sui social?
Infine, vorrei sottolineare che esiste un terzo aspetto, più subdolo, che richiama quello del fenomeno del window shopping (si veda la corrispondente pagina di Wikipedia, per ora solo in inglese) o dello shopping virtuale. Sempre più persone fanno shopping virtuale: fanno il giro di tutte le vetrine, o addirittura indossano capi o provano oggetti pur non avendo alcuna intenzione di acquistare. In altre parole è come farsi passare la fame annusando i profumi che fuoriescono da una buona cucina. Tanti window shoppers asseriscono che questa pratica virtuale è appagante quanto lo shopping vero e proprio, anche perché quest'ultimo è privato del senso di colpa per il denaro speso, spesso inutilmente. L'avvento dei negozi online, ovviamente, ha potenziato il window shopping.
I difensori dell'unboxing sostengono che questi video consentano a un eventuale acquirente di vedere per davvero cosa otterranno una volta aperto il pacco o l'imballo. Mi chiedo: chi ha mai avuto dubbi che dentro l'imballo non ci fosse veramente l'oggetto del desiderio? L'imballo, per un componente HiFi, deve avere soltanto una funzione protettiva in caso di spedizione, nient'altro. Quando comincio a vedere legni pregiati, velluti, stoffe, raso e ammennicoli vari scatta in me, automaticamente, la sensazione che mi si voglia prendere in giro. Una Porsche o un Ferrari hanno bisogno di un imballo, per esempio?
Questo nuovo trend dell'unboxing non fa che acuire in me la sensazione che questo hobby abbia ormai assunto una deriva molto pericolosa, dove la forma ormai domina sulla sostanza. Ai costruttori di HiFi va benissimo, figuriamoci, possono vendere prodotti che di realmente innovativo o di valore concreto hanno pochissimo, caricando su tutti gli aspetti formali: materiali, finiture, imballi preziosi, manuali e quant'altro. A cosa serve questo? È semplice: a giustificare la corsa al prezzo sempre più elevato. Aspetto e prezzo elevato sono due fattori chiave per poter vendere un prodotto qualitativamente mediocre. Mi piacerebbe vedere appassionati più consapevoli e meno...polli da spennare ma, a giudicare dalla mercanzia che si vede alle mostre HiFi, sempre più apparenza che sostanza, temo che la mia resterà solo una vana speranza.
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