Stefano D'Orazio (1948 - 2020)

[Stefano D'Orazio alla batteria]
(Di Stefano.1991 - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=54733536)

Il cielo è blu sopra le nuvole

Sito ufficiale: www.stefanodorazio.it
Pagina Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Stefano_D'Orazio
Autore: Roberto Felletti
Pubblicato: Novembre, 2020

Ci sono persone che, anche se non conosci, ti sono familiari per un motivo o per l'altro e magari, a loro insaputa, ti accompagnano per tutta la vita, o parte di essa, con la loro indiretta presenza. Quando ascolti un/a musicista, un/a cantante o un gruppo per tanti anni, alla fine lui/lei/loro diventano parte della tua esistenza e, proprio come avviene per familiari e amici, sembra che questo legame, seppure a distanza, impalpabile ma indissolubile, debba durare per sempre. Ma come tutti sappiamo bene, nulla è eterno su questo piano materiale dell'esistenza e noi non siamo altro che un battito di ciglia sugli occhi imperscrutabili e freddi dell'universo.

Stefano D'Orazio, “quello dei Pooh, anche all'anagrafe”, ci ha lasciato ai primi di novembre di un anno bisestile e maledetto, e ha raggiunto Valerio Negrini in quel “cielo blu sopra le nuvole” che dà il titolo a un album dei Pooh, uno dei gruppi storici e più longevi della musica leggera italiana degli ultimi sessant'anni, del quale entrambi hanno fatto parte come batteristi. Fu proprio Stefano, nel 1971, a prendere il posto di Valerio alla batteria, posto che ha mantenuto fino al 2009. Parlare di Stefano D'Orazio significa parlare automaticamente dei Pooh, in quanto la formazione più conosciuta è sempre stata composta da Roby, Dodi, Red e (come disse una volta Fiorello in una sua trasmissione) “quello col nome strano, Stefano”.

Forse i Pooh non rientrano nei canoni musicali dell'audiofilo medio e molto probabilmente i loro dischi non sono incisi con qualità audiofila, ma secondo me la musica, prima di tutto, deve suscitare emozioni in chi la ascolta (altrimenti è solo esercizio di stile - mamma, guarda quanto sono bravo). Va bene, io non sono e non mi reputo audiofilo, ascolto quello che riesce a emozionarmi ma, non me ne voglia il Direttore, spesso mi ritrovo ad ascoltare gli stessi dischi di trenta/quaranta anni fa, quasi a desiderare di poter riavvolgere quel nastro come se fosse una macchina del tempo in grado di riportarmi indietro. C'è un motivo, comunque, per questo mio desiderio, ma esula dal contesto di questo articolo.

Feci la conoscenza (musicale) di Stefano e “degli altri tre” con l'uscita dell'album Viva (1979), il secondo che acquistai dopo Spirits Having Flown dei Bee Gees. In realtà erano cassette, ma la sostanza non cambia. Ho un vago ricordo, sfocato come le immagini dei televisori in bianco e nero dell'epoca: quattro capelloni che cantavano “respirerò tutta l'aria che c'è, notte a sorpresa lontano da casa” come sigla di chiusura della celebre trasmissione Domenica In. Io, all'epoca, ero un quindicenne imberbe ma già occhialuto (e lo sono ancora - occhialuto, non imberbe) che si affacciava appena alla vita dei “grandi”, ignaro del fatto che quarant'anni dopo si sarebbe seduto alla tastiera (del PC) per scrivere un articolo commemorativo sulla scomparsa di un musicista di un gruppo la cui musica continua a suonare anche adesso, mentre sto scrivendo, con Riccardo Fogli che, neanche a farlo apposta, canta “è finita, c'è il silenzio tra di noi”. Col passare degli anni sono arrivati anche gli album successivi di Stefano e soci, il ragazzo imberbe e occhialuto è cresciuto e ha sviluppato anche altri gusti musicali, ma senza mai rinnegare la musica di quelli che si potrebbero definire i Fab Four in salsa tricolore.

Ma Stefano non è stato soltanto un batterista, ha anche scritto e cantato varie canzoni per i Pooh, dimostrando di essere stato non solo un semplice membro del gruppo, bensì un quarto essenziale dell'insieme. Personalmente ho sempre considerato tutti e quattro allo stesso livello; forse all'inizio della loro carriera non era così, ma da quando li seguo mi sono sembrati un gruppo omogeneo e compatto, con il giusto spazio per tutti. Se così non fosse stato, probabilmente non sarebbero rimasti a galla per tutti questi anni, sebbene nel loro caso “stare a galla” non sia l'espressione più adeguata visto il grande successo. Si dice che “siamo tutti utili, ma nessuno è indispensabile”; non saprei... I Pooh sarebbero stati i Pooh, così come li conosciamo, senza Stefano D'Orazio? Io non ho la risposta e non mi azzardo nemmeno a ventilare ipotesi, non sono un critico musicale né un esegeta della domenica e nemmeno un influencer da lockdown, ma la fortuna o il destino o qualche mistica congiuntura astrale ha fatto sì che proprio in questo momento Stefano stia cantando la stupenda 50 Primavere e allora mi permetto di dire che no, secondo me non sarebbero stati la stessa cosa.

L'unica volta in cui ho visto Stefano e gli altri di persona (visto per modo di dire, un po' per la distanza e un po' per la mia miopia) è stato a Milano nel 2015, quando ci fu uno dei concerti della reunion ai quali parteciparono anche Riccardo Fogli e, appunto, Stefano D'Orazio che, come detto sopra, aveva lasciato il gruppo nel 2009. Fu una grande festa collettiva, tutti erano vocianti, urlanti e cantanti; le mascherine e il distanziamento sociale erano un incubo da film catastrofico, anzi nessuno ci pensava proprio, e l'atmosfera era di quelle che dilatano il tempo e lo spazio, facendo durare per l'eternità un battito del cuore. Ed è proprio la registrazione di quel concerto che sta accompagnando queste mie parole, facendomi modificare al volo una frase, un verbo o una virgola in base a cosa esce dagli altoparlanti o a seconda di una particolare emozione risvegliata da un accordo o da un colpo sul rullante.

La parte strumentale di Parsifal, un po' malinconica di per sé e ancora di più oggi, senza più Stefano, accompagna il tramonto di questo pomeriggio di novembre e conduce lentamente verso la conclusione di questo mio tributo che però non vuole essere un necrologio, bensì la testimonianza che comunque si sopravvive nel ricordo e, per un musicista, anche nei dischi e negli impianti di chi ascolta. E poi chi se ne frega se la musica esce da due cassettine plasticose (quando sono al PC non posso ascoltare come si deve); se la musica ti coinvolge e vibra all'unisono con te, anche La Ragazza Con Gli Occhi Di Sole cantata da Stefano può emozionare senza necessariamente uscire da diffusori iper-mega-esoterici. Questo ovviamente vale per tutta la musica, senza distinzioni. Poi, certo, alcune sensazioni sono amplificate dal dolore e dalla tristezza del momento, ma la forza emotiva di una canzone è sempre lì presente, che trasmetta gioia o malinconia. Però io credo che Stefano, da lassù, come tutti quelli che ci lasciano, non desideri che noi siamo tristi, ma che continuiamo ad andare avanti accompagnando il nostro viaggio con la colonna sonora che preferiamo.

E quindi teniamo accesa la “macchina della musica” con i nostri impianti, esoterici o umani, e riempiamo il silenzio che a volte ci opprime con frequenze positive e benefiche. Come conclusione, propongo una spiritosa canzone di Stefano che si intitola Dove Sono Gli Altri Tre, contenuta nell'album Ascolta (2004): https://youtu.be/KnwKzjwyrA4 (purtroppo l'embedding non funziona, il video va guardato direttamente su YouTube).

Mi sembra più che giusto salutarlo con un sorriso, come penso lui vorrebbe. Ciao Stefano, grazie per la tua (vostra) musica e come dici tu ne La Ragazza Con Gli Occhi Di Sole, “e anche se non lo sai, sarai con me”.

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