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Monografia sul biwiring, biamping, multiamplificazione

Vantaggi, svantaggi e consigli vari

Lo scopo di questa mini-monografia è quello di far un po' di chiarezza sulle diverse modalità di collegare un amplificatore alle casse, un argomento piuttosto confuso e nebuloso specie per i neofiti.
Contemporaneamente cercherò di dare alcuni consigli pratici per tutti e qualche trucchetto su come ottenere il massimo dal collegamento tra ampli e casse.
Gli argomenti trattati saranno, nell'ordine:

  1. In principio...era il classico cavo rosso e nero!
  2. Il biwiring
  3. Qualche trucco per migliorare il monowiring ed il biwiring
  4. Trasformare un diffusore da mono a biwiring...si può?
  5. Un finale stereo o una coppia di finali mono?
  6. Il bi-amping passivo
  7. La multiamplificazione attiva
  8. Conclusioni

In principio...era il classico cavo rosso e nero!

Fino a 10/15 anni fa collegare le casse al proprio amplificatore era un gioco da bambini: bastavano due spezzoni di cavo rosso e nero, magari pure di diversa lunghezza, ed il gioco era fatto. La sezione di tale cavo era considerata pressochè ininfluente a meno che non si dovessero collegare casse a decine di metri di distanza dall'amplificatore.
Poi arrivarono i cavi speciali e tutto cominciò a farsi più complicato. Si mormorava che anche i cavi potevano influenzare il suono dell'impianto HiFi.
A questo argomento ho già dedicato un articolo apposito (Come scegliere i cavi) che vi consiglio di leggere qualora non l'abbiate ancora fatto.
Riassumo solo brevemente alcuni consigli del tutto generali nel caso decidiate di collegare le vostre casse con un singolo cavo (questa pratica tradizionale viene spesso chiamata monowiring o monofilare, con una brutta traduzione in italiano). In definitiva, se intendete rimanere sul classico, utilizzate il monowiring, ossia usate un solo cavo per cassa e vivrete tranquilli. Il problema è però che molti diffusori (quasi tutti ormai da un certo livello in sù) nascono con due coppie di morsetti, sono cioè predisposti per usare due cavi anzichè uno, realizzando quella tipologia di collegamento meglio nota come biwiring che vado a descrivervi.

Il biwiring

Letteralmente bi-cablaggio. Il biwiring è esploso nella seconda metà degli anni '80 in Inghilterra e da allora ha conquistato il cuore degli audiofili.
Di cosa si tratta? Un diffusore predisposto per il biwiring, anzichè una sola coppia di morsetti (positivo e negativo) ospita DUE coppie di connettori, usualmente marchiati high e low oppure woofer e tweeter.
Lo scopo è chiaro: utilizzare un cavo per collegare il tweeter (altoparlante per le alte frequenze) ed un altro per il woofer (basse frequenze). Se gli altoparlanti sono più di due normalmente la situazione non cambia: una coppia di connettori per la gamma medio-alta ed un'altra coppia per la gamma bassa.
Sgombriamo subito il campo dal primo dubbio:
per collegare una cassa in biwiring non c'è bisogno di due amplificatori né di un amplificatore con doppie uscite: è sufficiente un qualunque amplificatore stereo.
L'idea è infatti quella di utilizzare due cavi per canale anzichè uno solo. Quindi: questi due cavi saranno separati dal lato casse ed eventualmente uniti lato amplificatore (positivo con positivo, negativo con negativo, rispettado i canali destro e sinistro, ovviamente!).
Qualora l'amplificatore disponesse di doppie uscite (cioè fosse possibile collegare due coppie di casse, A e B) il biwiring è più semplice perchè potete ripartire il groviglio di cavi più comodamente su tutti i morsetti.
Ad esempio potete decidere di collegare i cavi del tweeter all'uscita A dell'ampli e quelli del woofer all'uscita B o viceversa, il risultato non cambia. Ovviamente dovrete selezionare sul frontale dell'ampli ENTRAMBE le coppie di uscite A e B (altrimenti sentirete solo i tweeter o solo i woofer).
Volendo potete comunque collegare tutti i cavi ai morsetti solo A o solo B, il risultato sarà identico. Infatti che i cavi si riuniscano prima di entrare nell'ampli o dopo, non fa alcuna differenza. I morsetti A e B sono infatti collegati tra loro COMUNQUE all'interno dell'amplificatore.
Il mio consiglio, solo per un fatto di comodità, è quello di usare, quando ci sono, entrambe le coppie di uscite, sia A che B, così evitate un eccessivo affollamento di cavi che, se di grossa sezione, possono causare più di un problema.

Quali sono i vantaggi del biwiring se comunque l'amplificatore è uno solo?
Senza voler scendere troppo sul tecnico diciamo che

D'altra parte il biwiring presenta un certo numero di inconvenienti:

Qualche trucco per migliorare il monowiring ed il biwiring

Supponiamo che i vostri diffusori siano predisposti per il biwiring ma voi vogliate collegarli comunque in monowiring. Avrete notato che -di fabbrica- i quattro morsetti delle casse sono collegati tra loro con dei ponticelli metallici dorati che andrebbero asportati qualora si decidesse per il doppio collegamento.
Bene, se volete effettuare un monowiring col massimo della qualità possibile, buttate via immediatamente tali ponticelli dorati e sostituiteli con dei corti (3-5 cm) spezzoni dello stesso cavo che utilizzerete per collegare il tutto all'amplificatore.
In alternativa potete usare delle barrette in rame pieno (reperibili presso i negozi di materiale elettronico).

Seconda cosa, il singolo cavo andrà collegato preferibilmente ai morsetti del tweeter lasciando agli spezzoni o ai ponticelli il compito di portare il segnale ai morsetti del woofer.
La ragione è semplice: le alte frequenze sono la porzione dello spettro audio più delicata e sensibile, anche per via delle basse tensioni in gioco. Per questa ragione è meglio che il segnale dall'ampli raggiunga i morsetti del tweeter senza che vi siano interposti altri spezzoni di cavo o sbarrette metalliche (si minimizza, in sostanza, la resistenza di contatto).

Per migliorare il biwiring non c'è molto da fare se non

  1. Curare al massimo la qualità delle connessioni
  2. Provare ad intrecciare (twistare, attorcigliare) l'uno con l'altro i due cavi che vanno alla cassa, in modo da farli diventare un unico grosso serpentone attorcigliato.
    In pratica: una volta fissati i cavi da una parte (o casse o ampli, non importa) cominciate ad intrecciare sempre con lo stesso passo, i due cavi. Per tenere fermo il tutto normalmente basta collegare i cavi all'altra estremità (alla cassa, se avete cominciato lato ampli) oppure utilizzare delle fascette plastiche serracavo.
    Non è detto che questa pratica porti dei miglioramenti sonori sostanziali ma perlomeno si disporrà di un minimo di ordine anzichè di quattro cavi che vanno dall'ampli alle casse nel modo più caotico possibile.

Trasformare un diffusore da mono a biwiring...si può?

Possedete una vecchia coppia di diffusori non predisposti per il biwiring e li vorreste modificare proprio per accettare tale tipo di collegamento? Si può fare? La risposta è SI ma tale operazione richiede la conoscenza dello schema del filtro crossover, il saper individuare i percorsi del segnale all'interno di esso e saper usare bene il saldatore.
Individuati i punti dove il segnale si divide per woofer e tweeter, interrompete la pista dello stampato (o tagliate il cavo) ed inserite, saldandoli, due spezzoni di cavo che saranno i conduttori separati per le due vie. Inserite due nuove coppie di morsetti ed il gioco è fatto. Sembra semplice ma non lo è affatto, specie se il filtro crossover è molto complicato. E soprattutto potrebbe non convenire.
Non è affatto detto che il lavoro venga a regola d'arte e, comunque, state aggiungendo una ulterore resistenza di contatto sul percorso del segnale.
Meglio, se siete capaci, ricostruire completamente il crossover, magari utilizzando componenti nuovi e migliori (se il diffusore è vecchio, anche i componenti lo saranno), pensandolo già con uno schema biwiring. Dopo tanto lavoro avrete senz'altro un beneficio ma, forse, avreste fatto meglio a vendere i vecchi diffusori in configurazione originale (pochi sono disposti all'acquisto di materiale HiFi modificato in casa...) e col ricavato + la spesa della modifica, acquistare un modello nuovo, dotato di altoparlanti di qualità superiore e dalle caratteristiche meccaniche perfette...piuttosto che tenervi dei woofers con la sospensione sull'orlo del cedimento o i tweeter con le cupole ormai "andate".
Pensateci bene prima di fare certe modifiche: se il prodotto era di elevata qualità ha ancora senso utilizzarlo così com'era. Modificarlo equivarrebbe a snaturarlo e ad abbassarne drasticamente il valore storico/commerciale.

Un finale stereo o una coppia di finali mono?

Sia che abbiate deciso per il biwiring o il monowiring, vi potete porre una ulteriore domanda, nel caso in cui l'amplificazione sia affidata ad un finale (amplificatore di potenza) separato: è meglio un finale stereofonico o una coppia di finali monofonici?
La domanda è tutt'altro che superflua ed anzi molti audiofili sono sempre dubbiosi sull'effettiva utilità nell'uso di un finale stereo al posto di due mono (uno per canale).
Il finale stereofonico ha, sostanzialmente, due grossi vantaggi: Come svantaggio, a meno che la costruzione non sia completamente dual-mono (doppi trasformatori, doppie sezioni d'alimentazione etc.), c'è il fatto che i due canali destro e sinistro stanno fisicamente nello stesso cabinet e condividono l'alimentazione, con potenziale e teorica riduzione del rapporto segnale/rumore, della separazione dei canali e della dinamica. Per le costruzioni dual-mono, dicevo, questi problemi non si pongono. In pratica si tratta di due finali mono all'interno dello stesso cabinet, ma per il resto completamente separati ed indipendenti.

La coppia di monofonici ha i seguenti vantaggi:

D'altra parte: Tirando le somme si può dire che la soluzione finale stereofonico dual-mono è un eccellente compromesso tra le due scelte: ha i vantaggi del doppio mono senza gli svantaggi. Con la coppia di monofonici la spesa è di norma superiore, specie se si tiene conto del raddoppio di costo per i cavi di segnale e di alimentazione.
Tenete conto che chi opta per una coppia di finali mono presumibilmente ha un impianto (e quindi cavi) di un certo livello qualitativo (alto). L'aumento di spesa causato dal raddoppio dei cavi può essere perciò MOLTO significativo.
D'altra parte un certo risparmio lo si può effettuare sui cavi di potenza che, come dicevo, possono essere più corti...ma ciò "allunga" i cavi di segnale (non c'è scampo...) e quindi alla fine siamo probabilmente pari.
Sorge dunque la domanda: è meglio che ad essere più corti possibile siano i cavi di potenza o quelli di segnale?. Altra bella domanda.
Il cavo di interconnessione è il tratto del percorso "audio" dove più frequentemente le interferenze hanno vita facile, grazie al fatto che a transitare è un segnale molto debole. Il cavo di potenza, da questo punto di vita, è meno sensibile. Quindi, se abitate in una zona molto "disturbata" dal punto di vista delle interferenze elettromagnetiche, lasciate perdere la strada che vi porta a cavi di segnale molto lunghi. Meglio che le "antenne" in un impianto HiFi siano le più corte possibile.
In generale, il cavo di potenza è meno sensibile sia alle interferenze che alla lunghezza, purchè si resti all'interno di misure sensate (diciamo 3-4 metri per canale). Di conseguenza vedrei molto più di buon occhio un cavo di segnale corto con cavi di potenza lunghi piuttosto che il contrario. Verrebbe così a cadere uno dei vantaggi nell'uso di due finali mono, cioè quello di porli a breve distanza dalle casse.
Tuttavia, come sapete bene, ogni regola (e questa non lo è neppure) ha le sue brave eccezioni. Nel dubbio, meglio provare - se possibile - entrambe le soluzioni.

In conclusione, avrete capito che, da un punto di vista strettamente logico, facendo un bilancio costi/benefici, la soluzione col miglior rapporto qualità/prezzo è quella del finale stereofonico dual-mono. Segue il finale stereofonico tradizionale e ultima, per colpa del costo elevato causato dai due cabinets e la doppia cavetteria, viene la soluzione coppia finali mono.
Nel caso in cui il rapporto qualità/prezzo non è da considerarsi rilevante (ma lo è quasi sempre...) la soluzione coppia monofonici è effettivamente piuttosto stimolante.
Comunque sia, se proprio volete usare due finali, avete anche un'altra possibilità che è quella fornita dal biamping passivo.

Bi-amping passivo

Il vantaggio derivante dalla separazione dei morsetti per tweeter e woofer va oltre quello consentito dal semplice biwiring: infatti oltre alla possibilità di utilizzare doppi cavi nulla vieta di utilizzare due amplificatori stereo anzichè uno solo. In pratica si possono collegare i cavi dei tweeters ad un finale di potenza e quelli dei woofers ad un altro finale, obbligatoriamente identico.
In questo modo di realizza una multiamplificazione semplificata, ovvero si pilotano i due altoparlanti (woofer e tweeter) con due amplificatori separati.
Tale tipologia di collegamento è meglio conosciuta come biamping o biamplificazione passiva.
In pratica per realizzare il bi-amping avete bisogno di 2 finali di potenza identici, di diffusori predisposti per il biwiring e di due spinotti RCA ad Y necessari per sdoppiare le uscite del preamplificatore in modo tale da poterlo collegare ai due finali (il connettore ad Y è un normale spinotto maschio RCA con due uscite femmine).
Si parla di biamplificazione passiva perchè il filtraggio degli altoparlanti, cioè la divisione del segnale audio in bassi e alti avviene in modo passivo a valle dell'amplificatore, ossia dentro la cassa stessa. Nella biamplificazione (o multiamplificazione) attiva della quale parlerò nel paragrafo successivo il segnale viene invece suddiviso in varie porzioni a monte dell'amplificatore, cioè prima che venga amplificato, grazie ad un filtro elettronico attivo detto crossover elettronico.
Questa semplice osservazione chiarisce subito quali siano gli svantaggi del biamping passivo: I vantaggi rispetto al semplice biwiring sono l'accresciuta potenza disponibile (e quindi anche la dinamica) e la capacità di pilotaggio. I vantaggi rispetto alla multiamplificazione attiva sono: mantenimento delle caratteristiche del filtro originale dei diffusori e applicabilità pressochè universale.
Ma ora vediamo in dettaglio in cosa consiste tale multiamplificazione attiva.

La multiamplificazione attiva

In questo tipo di collegamento si salta a piè pari il filtro crossover dei diffusori e se ne utilizza uno elettronico esterno, da installare a monte degli amplificatori. In questo modo ogni singolo amplificatore amplifica solo una parte del segnale audio ed è perciò possibile scegliere apparecchi diversi per le varie frequenze, ad esempio un finale valvolare per la gamma alta ed uno a transistors ad alta potenza per la gamma bassa, dove è richiesto il maggior quantitativo di corrente.
Chiariamo subito che per multiamplificare in modo attivo è necessario che le casse siano predisposte allo scopo ovvero che il loro crossover passivo interno si possa escludere completamente.
In sostanza gli altoparlanti si devono poter collegare DIRETTAMENTE agli amplificatori senza alcun dispositivo intermedio poichè l'ampli dedicato ad ogni altoparlante invia già la porzione di frequenze più adatta: solo frequenze alte al tweeter e solo frequenze basse al woofer, con notevole ottimizzazione del lavoro degli amplificatori.
Riassumendo i vantaggi della multiamplificazione attiva sono: Tali vantaggi si dimostrano però un'arma a doppio taglio, infatti gli svantaggi sono: La multiamplificazione attiva è, per queste ragioni, abbastanza in disuso pur essendo, teoricamente, un'ottima soluzione seppur complicata.
Il biamping passivo è una versione semplificata e quasi a prova di errore ma economicamente ancora molto impegnativa. Non è infatti da escludere che suoni meglio un singolo ampli di qualità 100 piuttosto che due in biamping di valore 50. Non è un discorso diverso da quello che si è fatto per il biwiring ed il monowiring.
Oppure non è affatto escluso che si possano ottenere benefici superiori spendendo i milioni necessari per passare ad un biamping (o ad una multiamplificazione attiva) in una coppia di diffusori di livello più elevato.
Per questa ragione sia il biamping che la multiamplificazione attiva hanno senso solo in impianti già di livello molto alto. Inutile spendere milioni in finali e cavi quando si posseggono diffusori da 2 milioni la coppia. Un salto di qualità molto più decisivo lo si avrebbe upgradando i diffusori e lasciando inalterata l'amplificazione preesistente.
Fino a livelli di spesa dell'ordine dei 10-15 milioni per l'impianto completo ritengo sia meglio pensare all'acquisto di componenti migliori (sorgente, casse o ampli) piuttosto che intraprendere costose e potenzialmente deludenti strade di multiamplificazione, passiva o attiva che sia.
Tenete anche conto che la semplicità, nell'economia sonora di un impianto HiFi, paga sempre, sia in termini di risultati all'ascolto che di semplice fruibilità del sistema preposto a riprodurre la Musica.

Conclusioni

Dopo questo lungo excursus sui vari modi di collegare ampli e diffusori, spero vi siate fatti un'idea più chiara. Tenete anche conto che ogni regola ha le sue eccezioni e che ogni vostra scelta dovrà essere effettuata sulla base di numerose prove nel vostro impianto e non basandovi su ciò che vi consiglia l'amico esperto o la rivista di turno (questa inclusa, ovvio!).

Il mio parere credo di averlo espresso chiaramente: in HiFi è più conveniente puntare sulla semplicità e non sempre raddoppiare i componenti (cavi o amplificatori che siano) porta ad un "raddoppio" (ammesso che ciò abbia senso) della qualità sonora prodotta dall'impianto. Spesso a raddoppiare è solo la spesa.

© Copyright 1999 Lucio Cadeddu - www.tnt-audio.com

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