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Editoriale di Ottobre 2010

La follia del cosiddetto vintage

Autore: Lucio Cadeddu - TNT Italia

Lo spunto lo prendo da un messaggio che un nostro lettore ci ha inviato da Singapore. Si lamentava che l'ultima asta di un amplificatore Naim Nait 1 si era conclusa a quasi 400 €. Ho fatto una rapida ricerca su Ebay e ne ho trovato altri offerti per cifre vicine ai 600 €. Devo ammettere che questa corsa al rialzo è stata aiutata dalla mia recensione di qualche anno fa, recensione dove però mettevo in guardia contro le speculazioni: capisco la voglia di entrare in possesso di un pezzetto di storia dell'HiFi inglese (e mondiale) ma si tratta pur sempre di un vecchio amplificatore, poco flessibile, di potenza limitata e che comincia a mostrare i segni dell'età. Il concetto di rapporto qualità/prezzo, evidentemente, mal si applica a prodotti di questo tipo. Tutto ciò, seppur non giustificabile razionalmente, è comprensibile. Infatti non è di questo esempio in particolare che vorrei parlare.
Sempre più spesso mi scrivono audiofili, anche alle prime armi, che vorrebbero acquistare apparecchi del passato (anni '70 o, peggio, '80), spacciati per straordinari quando di fuori dall'ordinario hanno solo il prezzo. Un amplificatore giapponese di livello base era già scadente secondo i parametri di allora...non è che col tempo possa essere migliorato! Ho visto spacciare per vintage di lusso gli amplificatori o i giradischi supereconomici (allora) di Technics, Akai, Pioneer, Sony, tutta robetta - lasciatemelo scrivere chiaro - che suonava malissimo allora e che oggi è semplicemente improponibile, dopo che 30-40 anni di vita hanno lasciato segni indelebili sui condensatori di alimentazione (cotti), su resistenze (fuori specifiche) e su contatti (ossidati). Si tratta di materiale che suonava male da nuovo, possiamo ben immaginarci come suoni ora. Nonostante ciò, basta mettere la parolina magica vintage e il gioco è fatto, le offerte piovono copiose.

Iniziai a collezionare apparecchi degli anni '70 in tempi non sospetti, più che altro per entrare in possesso di oggetti che riempivano i miei sogni da adolescente squattrinato ma appassionato di HiFi. Le tasche erano quel che erano (vuote) e pertanto potevo solo sognare i grandi mostri sacri o anche i semplici prodotti affascinanti di per sé, per l'estetica, il blasone del marchio o una pubblicità particolarmente evocativa. Anni dopo, pian piano, ho riempito uno scaffale di queste reliquie, alcuni sono pezzi di grande pregio, ma mi sono sempre categoricamente rifiutato di pagarli cifre assurde. Ho rovistato tra i mercatini, tra gli annunci di compro-vendo e credo di aver sempre pagato il giusto.
Alcuni di questi apparecchi sono sopravvissuti abbastanza bene al tempo, nel senso che ancora oggi possono essere ascoltati senza imbarazzo. Lo scopo dell'acquisto, però, non era certo quello del buon suono: si trattava e si tratta ancora di un capriccio, della voglia di possedere oggetti che hanno esercitato su di me - ed esercitano ancora - un certo fascino.

Quel che non capisco è come mai dei ragazzi alle loro prime esperienze, disponendo oggi di prodotti straordinariamente ben suonanti e dal costo irrisorio (T-Amp, Trends Audio, Scythe, etc.), decidano di spendere di più per prodotti che sono classificabili vintage solo per ragioni anagrafiche ma che di valore vero sono prossimi allo zero e che certamente suonano MOLTO PEGGIO delle alternative moderne citate. Può essere un Marantz 1030 un'alternativa realistica a un amplificatore come lo Scythe SDA-1100? Ma nemmeno per sogno! La differenza in termini di qualità sonora è semplicemente imbarazzante, il piccolo Marantz perde su tutta la linea. E persino i suoi fratelli più grossi perdono su tutta la linea (possiedo un 1060). E può un giradischi giapponese di plastica di 40 anni fa essere una valida alternativa a un ProJect Debut? Men che meno! Eppure il costo d'acquisto, oggi, li equipara!
Vorrei solo ricordare che la maggior parte dei giradischi, all'epoca, era costruita per esibire prestazioni strumentali sbalorditive, non si pensava che anche un giradischi potesse influenzare il suono. Bastava che i dischi girassero alla velocità giusta. La scuola europea la pensava diversamente, ma la produzione giapponese era tutta orientata in quel senso, con qualche lodevole eccezione (molto costosa).

Per amor di patria, poi, evito di fare confronti sui diffusori, per il semplice fatto che su di essi il tempo lascia tracce ben più pesanti che sugli altri componenti: membrane che perdono di elasticità, bobine mobili che si deformano, cablaggi interni che si ossidano etc. senza contare che è impresa ardua reperire un diffusore di 30-40 anni fa al quale non siano stati sostituiti i woofer o i tweeter (con altri non originali) o ai quali non sia stato sostituito almeno il foam (bordo) dei woofer, degradatosi col tempo. Di nuovo, finché si parla di mostri sacri del passato, possiamo ancora ragionarci un po' su, ma quando si parla di scatolette da pochi soldi è davvero meglio lasciar perdere. Tuttavia, il mantra recitato in quasi tutti gli annunci di materiale del genere è oggetti come questi non ne costruiscono più! E meno male, aggiungerei!

Per chi non avesse ancora la netta percezione di ciò che sta accadendo, è sufficiente andare su Ebay o su subito.it a caccia di giradischi o di altri apparecchi di qualche anno fa: è un delirio di descrizioni mirabolanti e di prezzi fuori da ogni ragionevolezza. Io mi ci faccio un giro ogni tanto, un po' per ridere, un po' perché non si sa mai che capiti qualcosa di particolare ignoto ai più :-)

Si potrà obiettare che il prezzo lo faccia il mercato: se c'è chi compra a un certo prezzo, evidentemente quello che vende si adegua. Certo, e infatti non ho niente in contrario al fatto che polli e furbi si incontrino con reciproca soddisfazione, il mio voleva solo essere un avvertimento per chi oggi, ammaliato dal fascino di quaste apparecchiature, sia pure convinto di portarsi a casa qualcosa che suoni dignitosamente. Ecco, nella maggior parte dei casi non sarà così: si costruirà un impianto con oggetti vecchi (ancorché belli) e poco più. Non ci si meravigli se qualcun altro, con una frazione della cifra, riesce a metter in piedi un impiantino che imbarazza l'impianto vintage.
Inoltre, mi piacerebbe ricordare che apparecchi così vecchi hanno bisogno di cure, talvolta costose o spesso impossibili perché i pezzi di ricambio non si trovano più. E mentre una cinghia per un giradischi, di lunghezza adeguata, la si rimedia sempre, non è infrequente imbattersi in amplificatori che utilizzano vecchi transistors non più in produzione, ad esempio. Non solo, ma le riparazioni richiedono l'utilizzo del manuale di servizio dell'apparecchio, normalmente reperibile in siti specializzati a peso d'oro. Insomma, tutto il giochino rischia di diventare maledettamente complicato e costoso: divertente se si vuole giocare un po', snervante se quello ha da essere il nostro, unico, impianto principale.

Consentitemi di concludere questa riflessione con una perla di saggezza di mio suocero veneto: Non s'è beo perché s'è vecio, s'è beo perché s'è beo. Cioè: ben venga il vintage, purché sia bello, inteso nel senso del suono, ovviamente. A meno che non stiamo andando a caccia di soprammobili.
A proposito di vintage che sembra vintage ma non lo è non posso non regalarvi questa piccola perla che sembra essere un leftover dall'album Sgt. Pepper's dei Beatles e invece è solo un favoloso divertissement degli XTC, qui sotto il falso nome di Dukes of the Stratosphere, l'album è Psonic Psunspot. Classe inarrivabile e divertimento allo stato puro. Sembra l'incipit di The lion sleeps tonight ma poi diventa ben altra cosa.

© Copyright 2010 Lucio Cadeddu - direttore@tnt-audio.com - www.tnt-audio.com

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