Visita della mostra High End 2015 a Monaco

Prima parte

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Visitatore: Carlo Iaccarino
La mostra si è svolta dal 14 al 17 maggio 2015 presso il M.O.C., centro fieristico di Monaco di Baviera, in Germania
Scritto: Maggio 2015
Sito web ricco di informazioni: High End Society.de

Premessa

Cominciamo col dire che l'High End show 2015 ha confermato tutte le sue principali caratteristiche che mi avevano tanto favorevolmente colpito l'anno scorso. So che l'autocitazione è inelegante, ma ritengo davvero molto utile rinviare alle considerazioni che vi propinai dopo la mostra del 2014: qui le dovrei – inutilmente – ripetere, mentre preferisco concentrarmi su degli aspetti ulteriori e specifici dell'edizione 2015.
Inoltre, il Direttore mi aveva fatto gentilmente notare che, forse, qualche immagine qua e là avrebbe agevolato la lettura. Quindi, quest'anno ho provato a fare le cose un po' meglio: sono riuscito a visitare la mostra per tutta la sua durata ed ho scattato anche alcune fotografie, la cui pessima qualità spero giustifichi la mia iniziale ritrosia.

L'edizione 2015 si è ingrandita, acquisendo gli spazi anche dell'ultima amplissima Hall al piano terra. La High End Society ha dato le cifre, che hanno mostrato una discreta crescita rispetto all'anno scorso: +4% di spazi espositivi, + 12% di espositori, + 13 % di pubblico. A mio avviso, l'incremento quantitativo non è andato a detrimento della qualità: nessuno degli espositori mi è parso approssimativo o poco professionale, tutti usualmente cordiali nell'accoglienza del visitatore e tutti spesso molto indaffarati non solo in dimostrazioni degli apparecchi, ma anche in contatti commerciali.
Anche il pubblico ha confermato la sua variegata composizione: internazionale, di tutte le età, e formato non solo da maschi di mezz'età... D'altronde, la presenza della mostra è sempre ben segnalata da inserzioni sui giornali e da cartelloni pubblicitari: ecco il mio pessimo tentativo di inquadrare quello luminoso nella metropolitana (naturalmente, la linea che portava alla fiera).

E veniamo alle cose che mi hanno più interessato

Innanzitutto, le chiacchiere: ho assistito ad interessantissime disquisizioni tecniche di Rob(ert) Stewart, geniale capo di Meridian, e di Andreas Koch, altrettanto geniale mente tecnica di Playback Design, nonché consulente di molte altre aziende che si occupano di audio digitale e di DSD.
Con una conferenza stampa, Stewart ha illustrato il suo nuovo progetto, battezzato MQA, acronimo di Master Quality Authentication. La presentazione è stata molto chiara: ho apprezzato molto lo stile divulgativo con il quale Stewart ha saputo porgere concetti tecnicamente non banali ad un'audience specializzata, ma non tecnica. Meridian ha anche tenuto ulteriori dimostrazioni pratiche del sistema MQA nella sua saletta, alle quali pure è intervenuto lo stesso Stewart, sempre disponibile a rispondere alle domande degli astanti.

Anche Koch è stato ingegneristicamente preciso e chiaro, ma sicuramente tecnicamente più ostico, ed ha illustrato i (molti) pregi ed i (pochi) difetti del DSD.

La mia formazione non è tecnica, quindi vi passo ciò che ho capito, che non necessariamente corrisponde a ciò che Stewart e Koch hanno detto.

In primo luogo, il sistema MQA si occupa della QUALITÀ della musica.
Grazie ad un approccio multidisciplinare, integrando le conoscenze dell'ingegneria audio con quelle delle neuroscienze e della psicoacustica, Stewart ritiene che il nostro sistema percettivo sia estremamente sensibile ai rumori di brevissima durata, impulsivi, che percepiamo immediatamente riuscendo anche a localizzarne rapidamente la provenienza. Di qui, ha fatto il passaggio logico inverso: molte informazioni relative alla localizzazione ed alla riconoscibilità dei suoni dipendono dalle informazioni che ne identificano le caratteristiche temporali. Finchè si resta nel dominio analogico, queste relazioni temporali sono preservate e non si pongono problemi. Questi arrivano con la conversione in digitale di suoni analogici, che discretizza un suono (analogico) continuo con la tecnica del campionamento e della quantizzazione, operazioni che – per obbedire alle proprie leggi matematiche – quando svolte con la plebiscitaria tecnica della modulazione di impulsi, meglio nota come PCM, hanno bisogno che A MONTE del convertitore A/D intervenga un filtro che elimini tutte le parti di suoni (frequenze) in eccesso a quelle che la modalità di conversione scelta può gestire senza introdurre errori; inoltre, analogo filtro va posto A VALLE del convertitore D/A che ritrasforma in segnale analogico continuo quello discretizzato digitale; inoltre, la discretizzazione dell'ampiezza del segnale su vari bit introduce sempre, nelle realizzazioni pratiche di ADC e DAC, un errore di quantizzazione.

Il problema, a quanto ho capito – e molto l'ho capito grazie alla previa lettura di un completo articolo dell'Ing. Fabrizio Montanucci provvidenzialmente pubblicato sul numero di Aprile di Audio Review – è che questi filtri e l'errore di quantizzazione introducono un errore proprio sull'accuratezza temporale dei segnali, noto come pre-eco e post-eco, e, per quanto ridotto sia questo errore temporale, parrebbe proprio che noi siamo in grado di percepirlo, soprattutto quando si tratta di segnali di brevissima durata, che appaiono iniziare prima e finire dopo l'istante in cui essi, invece, dovrebbero naturalmente durare. Questo, secondo Stewart, spiegherebbe perché spesso si è associato il suono (analogico convertito in) digitale ad una sensazione di sgradevolezza.

A questo punto, richiamo quello che ha detto Koch, il quale ha illustrato come, sostanzialmente, tutto il processo A/D e D/A, se fatto con la tecnica del DSD, comporta una quantizzazione con un solo bit (quindi l'errore di quantizzazione è già in partenza intrinsecamente meno probabile che con il PCM) e, soprattutto, l'uso di una frequenza di campionamento molto maggiore di quella usata in PCM, il che consente di configurare filtri con azione meno decisa, che introducono errori temporali molto ridotti rispetto a quelli che che il PCM multibit necessariamente introduce. Secondo Koch, a questo si deve sostanzialmente ascrivere il maggior gradimento soggettivo che gli audiofili spesso riservano al DSD. Ricordo che questo è, sostanzialmente, anche il ragionamento seguito, ad esempio, da PS Audio quando l'anno scorso introdusse il suo convertitore top di gamma, di cui davo notizia sempre nel mio articolo sul High End 2014.

Inoltre, un altro punto importante evidenziato da Stewart è che quelle microinformazioni temporali sono presenti anche in suoni dalla frequenza molto maggiore dei canonici 20/21 kHz tradizionalmente individuati come limite dell'udibilità umana dei suoni, e su cui venne modellato il formato del CD (la massima frequenza teoricamente ricostruibile senza errori nella conversione A/D D/A è pari alla metà della frequenza di campionamento: così, scelto il limite delle frequenze da trattare in zona di sicurezza a 22.050 Hz, ne derivò la frequenza di campionamento di 44.100 Hz).
Il che comporta che la banda da assegnare alla catena di digitalizzazione A/D – D/A deve essere molto ampia, con conseguente necessità di innalzare di molto la frequenza di campionamento, esponendosi maggiormente alla possibilità di introdurre ciò che lui ha definito time smearing e che io ho capito essere una restituzione del messaggio affetta da incongruenze temporali provocate dalla difficoltà di assicurare la dovuta altissima precisione all'intervallo tra un campione e l'altro, tanto più piccolo e ravvicinato al successivo quanto più sale la frequenza di campionamento. Ed anche per Koch questo rappresenta una condizione di intrinseco vantaggio del DSD, che è un sistema che si trova a suo completo agio a lavorare su frequenze di campionamento molto alte.

A questo punto, però, le strade di Stewart e Koch si dividono.
Meridian è convinto assertore dell'inutilità di ricorrere al DSD, sostanzialmente perché tutti gli studi di registrazione lavorano in PCM (e la conversione di formato è vista da tutti come una pratica perniciosa), ed il DSD è un formato proprietario, con conseguenti riflessi economici sulle licenze della tecnologia e dei software di gestione. Quindi, col sistema MQA propone una sua personale visione del PCM che comporta la configurazione degli ineliminabili filtri secondo una modalità, da lui chiamata apodizing, che garantisce trascurabili livelli di pre-eco e post-eco.

Il sistema, ovviamente, può essere utilizzato per digitalizzare con modalità MQA i vecchi master analogici. Ma, soprattutto, lavora anche con file digitali che non nascono col sistema MQA, come la sterminata libreria di master archiviati dalle varie case discografiche, in quanto, conoscendo le caratteristiche dei filtri utilizzati in fase di conversione A/D, oppure effettuando un'apposita analisi del segnale registrato (che Stewart ha detto, con fare molto british, essere sometimes very, very complicated), è possibile ipotizzare gli errori prodotti dai filtri originariamente adottati e correggerli, potendo poi procedere alla conversione D/A con i migliori filtri apodizing di Meridian, certi di avere un file processato nel miglior modo possibile.

Così si rimane in ambito PCM e non si è costretti a cedere al DSD, ma ci si garantisce comunque la performance ottimale. Qui interviene il concetto di Authentication: questo sistema, secondo Stewart, è in grado di garantire che il processo A/D (e D/A) sia quanto più neutro possibile e quindi consegni alla registrazione il segnale catturato dal microfono nel modo meno alterato possibile, ottenendo la migliore trasposizione su nastro di quello che l'Artista (e il tecnico del suono) hanno inteso produrre. Quindi, una volta settati i parametri per questo processo (inclusi, eventualmente, quelli di correzione degli errori introdotti in precedenti fasi di conversione A/D), il prodotto finale è proposto all'Artista che, se gli va bene, lo approva.

Quando questo file digitale approvato col formato MQA viene riprodotto da un apparecchio (DAC, player virtuale, ecc.) capace di gestire le informazioni del sistema MQA, si chiude il cerchio, perchè in quel momento si riproduce il file esattamente come il sistema prevede che vada riprodotto, e solo in questo caso, la macchina si rende conto che sta riproducendo un flusso dati approvato MQA e lo autentica. In pratica, il DAC MQA segnala che il suono analogico ricostruito è autentico rispetto allo originale captato dal microfono e approvato dall'Artista, perché si rispetta la catena di registrazione-digitalizzazione-riproduzione stabilita a priori. Dietro specifica domanda, Stewart si è affrettato a chiarire che non si tratta in alcun modo di un sistema di DRM con chiave mista pubblica (quella dentro i DAC degli ascoltatori) e privata (quella dentro gli ADC degli studi di produzione), e che un file codificato MQA può anche essere riprodotto da apparecchiature non-MQA, solo che non sarà garantita la coerenza con l'originale.

All'atto pratico, il riscontro acustico ottenuto nel corso delle demo pratiche di ascolto di file codificati MQA, per ora solo sperimentali, non lasciava dubbi nel senso della sensazione di migliore verosimiglianza e pienezza dei suoni, sia che si trattasse di vecchi master analogici ridigitalizzati, sia che si trattasse di nuovi master digitali corretti e processati, sia, infine, che si trattasse di registrazioni native MQA. Il problema è che si tratta di un sistema che non può prescindere dall'adozione da parte delle case produttrici, che si stanno mostrando restie a permettere la circolazione di file che sono copie conformi certificate delle loro registrazioni.

Il sistema MQA, poi, ha anche un grosso vantaggio in termini di DIMENSIONI DEL FILE generato.
Ritorno a Koch: nella sua dissertazione ha dimostrato che la codifica DSD genera un il file che, nonostante sia ad alta risoluzione, ha dimensioni poco maggiori di quelle richieste da un file PCM lineare a risoluzione appena maggiore del CD, e di gran lunga inferiori a quelle di un file PCM a risoluzione analogamente alta. Da tanto, secondo Koch, discende la naturale candidatura del DSD quale formato di file per lo streaming, cioè per quello che viene unanimemente indicato come il futuro modo di distribuzione della musica, perché impegna poca banda, così rendendo anche più facile, quindi più accettabile dai produttori e provider, la possibilità di veicolare file ad alta risoluzione.

Tuttavia, il sistema MQA prevede anche un'elegante procedura matematica che massimizza appieno la densità di informazioni veicolate dal file generato, così da garantire la digitalizzazione di un'amplissima banda passante di suoni, occupando lo spazio di un file tradizionale a risoluzione CD, quindi con ridotta occupazione di banda. Anche per tal via, quindi, si neutralizza uno dei vantaggi del DSD. Naturalmente, la soluzione escogitata per re-incapsulare tutte le informazioni che un file ad alta risoluzione contiene in più rispetto ad un file in risoluzione standard CD è totalmente retrocompatibile: un file MQA potrà essere tranquillamente letto da un apparecchio non-MQA, che in tal caso, però, si limiterà alla risoluzione standard del formato CD.

Questo aspetto è stato chiaramente studiato per invogliare le case discografiche ad aderire a questo standard. Infatti si possono produrre dei dischi MQA che potrebbero essere comprati anche dai possessori di normali lettori di CD, cioè la stragrande maggioranza delle persone. Inoltre, si evita di fare un mastering diverso per ogni medium (uno per i CD, un altro per i DVD, un altro per i blu-ray, un altro ancora per gli MP3, ecc.), perché basta fare una masterizzazione unica secondo lo standard MQA e poi ci pensa il riproduttore a scegliere quale versione suonare, secondo le sue capacità: evidentemente, il riproduttore MQA-certified sarebbe l'unico a potere riprodurre il file alla sua massima risoluzione, ma anche il lettore di CD (o il PC con su Foobar, iTunes, ecc.) lo leggerebbe, solo che riprodurrebbe un suono a livello CD.

Alla fine della fiera, non saprei trarre una conclusione definitiva: allo stato dei fatti, ho visto che il DSD è voluto praticamente da ogni costruttore di DAC, sia stand-alone che incorporato in apparecchi multifunzione, ed esistono diversi siti che offrono in streaming/download file ad alta risoluzione codificati in DSD; anche l'emittente radiofonica Bavarese ha condotto in fiera varie dimostrazioni sulla diffusione radiofonica (sempre digitale) di registrazioni classiche multicanali in DSD, dall'ottima resa, così mostrando uno sforzo istituzionale verso l'adozione di tale sistema. Per contro, la tecnologia MQA è praticamente agli esordi e necessita dell'appoggio della case produttrici, senza le quali perde gran parte dei suoi pregi qualitativi; resta la sua appetibilità quale mezzo che garantisce la diffusione di file ad alta risoluzione senza occupare molta banda, così rendendosi molto appetibile per i soggetti che vogliono vendere musica anche ad alta risoluzione via streaming/download e che, non a caso, fanno parte dei primi operatori aderenti allo standard (fra essi, Tidal, la norvegese 2L, Onkyomusic, ed altri).

L'atout più importante del MQA è filosofico, più che tecnico. Stewart ha calcato molto la mano sul concetto di autenticazione, sulla possibilità di garantire (meglio, certificare) una rispondenza esatta fra suono originale e prodotto sonoro voluto, quindi sul massimo avvicinamento fra produttore di musica e suo fruitore... ammesso che al fruitore importi davvero questa cosa e che si crei, così, una domanda per un audio di migliore qualità. È una battaglia che si tenta di portare avanti da un bel po', come dimostra anche il recente avvio della distribuzione del sistema Pono music sponsorizzato da Neil Young, ma che, se guardiamo oltre il nostro recinto dorato, non pare solleticare un interesse reale da parte dell'enorme massa di gente, attualmente contentissima della musica ipercompressa e distorta ricevibile (meglio ancora: ricercabile, quindi massimamente pesonalizzata) gratis con spotify, youtube, e così via...

Probabilmente, bisogna lasciare decantare le cose e vedere se e come evolveranno: si tratta, infatti, di soluzioni tecnologiche per un mercato potenzialmente enorme.
Infatti, allo High End 2015 erano presenti diversi fornitori di musica online che puntavano alla qualità del file offerto. C'era lo stand di TIDAL, che offre un servizio di streaming di musica non compressa a risoluzione standard (44,1 kHz / 16 bit) e di video ad alta definizione per € 20/mese; nonché la possibilità di effettuare download di file anche ad alta risoluzione (fino a 192 kHz/24 bit). Poi c'era QOBUZ, che, oltre ai noti servizi di download e di streaming a qualità crescente, offre anche un'opzione (definita Sublime) che prevede, oltre al normale streaming di tutto il catalogo a risoluzione standard, anche la possibilità di download dei file ad alta risoluzione (fino a 192 kHz / 24 bit) al prezzo di quelli compressi, nonché la possibilità di ascoltarseli in streaming (quindi non più in alta risoluzione) su tutti i dispositivi registrati, per circa € 220,00 annuali. C'era anche David Chesky, con il suo HD TRACKS, oramai sicuro punto di riferimento internazionale per il mercato del download ad alta risoluzione.

Ma c'era anche una giovane start-up: PRIMEPHONIC.
Si tratta di un'azienda che, se non ho capito male, è una specie di spin-off della Pentatone, quindi con un pedigree di tutto rispetto, ed offre il download di file ad altissima risoluzione in formato DSD, e fin qui nulla di speciale. La particolarità dei ragazzi di Primephonic è, innanzitutto, quella di rendere disponibili file esclusivamente di musica classica, ad un prezzo che, per lo più, si aggira sui € 12 per download.
Inoltre, la loro offerta intende andare oltre il mero servizio di download, rendendo disponibile anche un curato contenuto editoriale – non solo virutale, ma anche concretizzato nella forma di un magazine cartaceo (almeno, io ho l'edizione 2015...) – relativo ai singoli file disponibili, di cui forniscono dati, anche grafici, che ne analizzano la qualità sotto il profilo prettamente tecnico, per dare un certo riscontro obiettivo del contenuto del file che si acquista, evidenziando se si tratta di materiale realmente ad alta definizione, oppure materiale a definizione standard solo rivestito nel formato a risoluzione maggiore, e che dovrebbe esser assente dal loro catalogo. E già questo mi sembra un notevole segno distintivo, di serietà e di attenzione nei confronti dell'utente.
Inoltre, sia per i vari file, sia per tematiche più generali, sono presenti comunque contenuti editoriali illustrativi. Il tutto finalizzato a dare una maggiore consapevolezza del valore della musica classica che, secondo loro, rischierebbe di ridursi nella percezione collettiva, perché poco o per nulla presente nella disponibilità della gran parte degli altri servizi di streaming e download. Il magazine offertomi mi è parso molto bello e molto curato, e riflette l'impostazione del sito; anche solo per l'entusiasmo mostratomi nel rispondere alle mie domande, penso che questi ragazzi meritino almeno una possibilità: visitate il loro sito e, visto che sono nuovi, lasciategli anche un feedback; li aiuterete a crescere.

Infine, ho assistito anche alla presentazione dell'ultimo nato fra i DAC di CHORD, progettato dal loro Rob Watts e denominato DAVE (Digital to Analog Veritas in Extremis). Per un prezzo previsto di UKP 8.000, Chord offre un pre/DAC che rappresenta lo sviluppo degli ottimi risultati raggiunti con il famoso modello HUGO, ma adottando un FPGA 10 volte più potente e lavorando per migliorare due parametri. Relativamente al primo, muovendosi nella stessa direzione del MQA descritto sopra, si sono migliorate le prestazioni nel dominio del tempo, abbattendo il ringing dei filtri interpolatori ed aumentando le tappe del FIR (portandole a 164.000); anche Watts insisteva sulla nostra sensibilità alla percezione di variazioni temporali anche piccolissime ed alla conseguente necessità di allungare la frequenza di intervento dei FIR, portati sino a 2.048 Fs.
Relativamente al secondo, si è migliorata la prestazione del noise shaper già ottimo utilizzato in Hugo, ora portato al diciassettesimo ordine con 46 integratori: non so bene cosa voglia dire, ma Watts ha commentato dicendo che il codice del solo noise shaper non sarebbe entrato nel FPGA di Hugo. Infine, Watts, da buon tecnico, ha ribadito l'importanza delle misure per dare un riscontro oggettivo ai miglioramenti soggettivamente percepiti: si è soffermato in particolare sulla figura di rumore: il dato THD + rumore ad 1 kHz preso a 5V vale -124 dbA e quello preso a 2,5V vale -127 dbA, rimanendo praticamente costante, e anche scendendo a -60 db resta a -127 dbA, il che vuol dire non solo che si tratta di un apparecchio molto silenzioso, ma anche molto lineare e che introduce bassissimi tassi di distorsione. Il Dave sarà disponibile a partire da ottobre.

Antologia

Anche quest'anno, fra le tante salette visitate, ce n'è qualcuna che mi ha colpito più di altre. In generale, posso confermare che raramente ho sentito dei suoni sgradevoli o scorretti; più dell'anno scorso, però, mi è capitato di ascoltare dimostrazioni con musica esteticamente quantomeno discutibile. Anche quest'anno praticamente ogni espositore aveva come sorgente una banca-dati di file residenti in qualche disco rigido connesso alla parte DAC dell'impianto e pilotato wireless con un i-Pad o simili.
Tuttavia, ciò, anziché condurre ad una estrema varietà delle proposte musicali, paradossalmente conduceva quasi ad una standardizzazione: musica elettronica specialmente concentrata su punch, velocità e spazializzazione, qualche brano jazz facile, un po' di rock audiophile-approved, moltissimi brani chitarra+voce o piano solo e qualche brano sinfonico.
Con un accesso praticamente illimitato, forse mi sarei riempito gli hard disk di qualcosa in più oltre a Diana Krall ed Ella & Louie, i Pink Floyd, Private investigation e Money for Nothing, i Daft Punk (o almeno, mi sarei preparato anche i pezzi con Nile Rodgers...), il Pianoforte ben temperato, la Danza dei giocolieri e la Grande porta di Kiev. Beninteso, molti pezzi si sentivano bene ed erano sempre piacevoli da ascoltare; inoltre, ogni volta che ho chiesto qualche brano, il responsabile di sala (non raramente il progettista degli apparecchi o, comunque, il titolare del marchio...) ha sempre rovistato nel suo archivio per esaudire le mie (miti) richieste. Veniamo a qualche sala, qui ricordata in ordine sparso.

Sala TAD

Una bella sala grande. In dimostrazione due sistemi TAD, uno con i componenti della serie Reference, dal solito suono entusiasmante, pieno, corretto, piacevole, ecc. e dal costo molto elevato, come ci si aspetta, appunto, dal top di gamma. L'altro sistema era composto da apparecchi della serie Evolution, in funzione il lettore SACD/DAC con regolatore di volume DA 1000 MkII (€ 18.000), il finale stereo M 2500 (€ 25.000), ed i nuovi diffusori da stand Compact Evolution One (€ 20.000 + € 2.000 per gli stand), l'anno scorso esposti solo in forma prototipale e statica ed ora finalmente disponibili, con la possibilità di personalizzare (naturalmente, con un congruo sovrapprezzo...) le finiture installando dei fianchetti artistici in lacca prodotti in esclusiva.

La cosa bella è che anche per questo impianto minore il suono era pieno, corretto, piacevole, ecc., ma ancora più entusiasmante, e per due ragioni. La prima è il prezzo, elevato in assoluto, ma non più stratosferico, e foriero, a detta dei responsabili del marchio presenti in sala, di uno sforzo di TAD a tendere verso livelli più umani; strada che verrà percorsa anche in funzione del riscontro commerciale che avrà questa serie minore. La seconda è che questi nuovi diffusori sono davvero bensuonanti in sé, e i responsabili di sala insistevano sul punto che non era necessario stravolgere il proprio impianto per ottenere quel tipo di suono, ma basta iniziare adottando quelle casse. Che, infatti, erano utilizzate anche per dare voce ad un ulteriore impianto basato su elettroniche di un marchio che quest'anno ritorna fra noi: AUDIO ALCHEMY.
Il progettista e titolare del brand, Peter Madnick, attualmente impegnato con il marchio Constellation, lo ha rivitalizzato, ricostituendo il vecchio gruppo di lavoro e proponendo nuovissimi modelli di elettroniche. In particolare, l'impianto allestito comprendeva il lettore di rete DMP-1 (USD 1.600), il Pre/DAC/ampli cuffie DDP-1 (USD 2.000), con la sua alimentazione dedicata (opzionale) PS-5 (USD 600), ed i finali monofonici da 400 W/ch DMP-1 Mono (USD 2.000 l'uno) costruiti attorno a moduli di amplificazione switching Hypex non semplicemente acquistati e messi lì, ma dotati di particolare stadio d'ingresso a mosfet, di alimentazioni curate, ecc.; la linea comprenderà, inoltre, il finale stereo DPA-1 da 150 W/ch (USD 2000). Audio Alchemy sta iniziando ora la distribuzione in USA e cercava contatti per distributori Europei: se qualcuno interessato ci legge....

Sala TECHNICS

Altro grande ritorno è stato quello di Technics. A capo c'è ora un'ingegnere che è anche un'apprezzata pianista: un forte simbolo – da una civiltà tradizionalmente simbolista – di rinnovata importanza della musica per il gruppo Matsushita e, quindi, di ripresa del suo brand specificamente votato ad essa. Per la verità, la demo cui ho assistito ci ha fatto ascoltare qualche minimo brano riprodotto dai due impianti attualmente componibili, uno con la serie base, definita, forse un po' ingenuamente, Premium, e l'altro con quella massima, denominata, indovinate un po', Reference.

La serie Premium si compone di un lettore CD (SL-C700, € 1.900), un lettore di rete (ST-C700, € 1.900), un ampli integrato stereo da 45 W/ch (SU-C700, € 1.300) e diffusori bookshelf (SB-C700, € 3.500/coppia);
La serie Reference si compone di un lettore di rete/pre/DAC (SU-R1, € 7.000), un finalone stereo da 150 W/ch (SE-R1, € 13.000) che, se pilotato dal SU-R1 con una connessione proprietaria su porta ethernet, ingloba al suo interno (quindi fuori dallo sporco ambiente di trattamento dei dati digitali) il controllo di volume, e diffusori a torre (SB-R1, € 20.000);

I diffusori di entrambe le serie presentano uno speciale altoparlante concentrico, che nei SB-C700 riproduce tutto il range di frequenze, mentre nei SB-R1 è supportato da altri driver tradizionali per frequenze inferiori. L'estetica degli apparecchi è stata apprezzata senza discussione da tutti i vecchietti come me presenti; le loro caratteristiche sono del tutto adeguate ai tempi moderni, con funzionalità di streaming, DAC, ecc.; la resa acustica è stata gradevole, ma, a mio avviso, ingiudicabile in quelle condizioni sacrificate.

Per tale motivo, ho chiesto ad uno dei responsabili di sala se avessero previsto delle showroom più adeguate a dimostrare la qualità sonora degli apparecchi: in risposta, abbiamo consultato il sito di Technics, naturalmente aperto sulle pagine tedesche, dove compare l'elenco dei punti vendita dove si possono acquistare – auspicabilmente previo ascolto – gli apparecchi; l'ulteriore indagine sulle pagine italiane del sito mostra contenuto identico tranne che per la sezione dove acquistare, l'unica voce non attiva del menu...

Mi è stato suggerito che gli italiani interessati contattino direttamente Panasonic Italia, almeno per ora. Va inoltre precisato che Technics è entrato anche nell'agone dei provider di musica online, offrendo un servizio di download di file musicali non compressi a definizione CD o superiore: il sito è Technics Tracks e, per ora, gli acquisti sono autorizzati solo per il Regno Unito e la Germania.
Nota di colore: da prode possessore di un milleddue, alla fine della chiacchierata col responsabile Technics gli ho chiesto se, visto che il marchio era tornato, c'erano anche dei piani di riprendere la produzione dell'oramai mitico piatto SL-1200. A questa domanda, la seria professionalità del mio interlocutore ha ceduto ad un ampio sorriso, e mi ha precisato che di tutte le domande che in fiera gli avevano rivolto sui prodotti Technics questa era di gran lunga la più frequente e sicuramente quella che ognuno gli aveva posto alla fine di ogni chiacchierata; mi ha precisato che non era al corrente di nessun piano in merito, ma non avrebbe fatto a meno di segnalare in ditta questo enorme interesse mostrato da tutti i visitatori della saletta: forse possiamo almeno incrociare le dita ;-)

Sala MELCO
Vi riferisco ora di un apparecchio che ho trovato usato in molte salette.
L'anno scorso vi illustrai la tendenza di molte aziende dell'IT di presentare prodotti anche per il nostro mondo, ma finendo per snaturarli, con un'inevitabile incremento sia dei (tipicamente popolari) prezzi degli apparecchi informatici, sia della complessità costruttiva. Quest'anno una di quelle aziende si è meglio presentata: la MELCO ha proposto due lettori di rete con capacità di memorizzazione locale dei file molto ben curati, entrambi con un particolare circuito di ripulitura del segnale proveniente dalla connessione ethernet, uno – Modello N1A, da circa € 2.000 – basato su un architettura tradizionale, con due HD da 2 TB ciascuno, ed un altro – Modello N1Z, da circa € 8.000 – con un alimentazione più curata ed una motherboard più raffinata, basato su due HD SSD da 512 GB ciascuno (che sembra che, da soli, costino quanto un intero modello N1A). Come detto, si tratta di modelli effettivamente utilizzati da altri espositori, il che, per un verso, già mi pare una buona referenza. La particolarità, secondo me, sta, però, nella storia di questa azienda. I supporti di memorizzazione usati, infatti sono della Buffalo, notissimo produttore IT, la cui capacità tecnologica e finanziaria è stata indirizzata verso queste perversioni audiofile; tanto è stato possibile perché il proprietario della Buffalo è l'anziano padrone anche di Melco, Sig. Makoto Maki, che si dichiara audiofilo di lungo corso (sempre a marchio Melco, anni fa produsse anche un monumentale giradischi) e così ha compreso che l'impiego delle grosse e specializzate risorse del reparto IT avrebbero prodotto ottimi risultati in ambito audiofilo.

Sala BRYSTON

Davvero simpatica la sala di Bryston. Innanzitutto per l'accoglienza: la prima metà era dedicata a spazio espositivo di depliant e degli ampli per cuffie (molto potenti, atti anche al pilotaggio in sbilanciato di cuffie dall'impedenza difficile) e, soprattutto, ad un bancone da bar, con due componenti della brigata destinati a preparare caffè e cappuccini con una vera e propria macchina espresso e caffè macinato sul momento. E il bello è che il caffè usciva pure buono...
Molto piacevole, sicuramente d'effetto. L'altra metà dello spazio, molto ben isolato, era destinato all'ascolto dell'impianto, integralmente formato da prodotti della casa. In particolare, la sorgente era, come al solito, liquida, un lettore di rete BDP-2 (circa € 3.600) pilotato con un tablet in remoto, convertita dal DAC BDA-2 (circa € 2.800), il cui segnale analogico entrava in un pre con alimentazione separata, che pilotava due finali monofonici 7B (circa € 5.600 l'uno) che a loro volta spingevano a dovere i diffusori da piedistallo, ma di generose proporzioni, Mini T (€ 3.300).

In realtà, Bryston aveva portato anche il modello di diffusore superiore, T, a torre, ma mi hanno detto che dopo un'iniziale prova sia loro che il pubblico hanno decisamente preferito i piccolini (si fa per dire), lasciati definitivamente in funzione. Bryston è famosa per le sue elettroniche, ma sta dando ottima prova di sé anche con i diffusori, la cui progettazione si avvale della possibilità di sviluppare autonomamente gli altoparlanti e di misurare i diffusori in una vera e propria camera anecoica (e non simulando il campo anecoico a mezzo di finestrature temporali della ripresa in campo libero), grazie alla stretta collaborazione con la Axiom.
Ottimo suono, ben definito e mai affaticante, grazie anche all'acustica molto curata dello spazio destinato all'ascolto, con correttori passivi di acustica opportunamente montati sui pannelli perimetrali addossati ai muri. Il gentilissimo addetto alla sala mi ha assicurato che a lui, nel suo spazio più tipicamente domestico, usa il solo finale stereofonico 4B SST di potenza quasi dimezzata (come il prezzo: circa € 5.400). Bryston produce anche un altro lettore, il modello BDP-1USB (circa € 2.400): non lasciatevi ingannare dalla sigla (come ho fatto io, facendo la figura del fesso con il paziente addetto della casa), perché non è una riedizione del vecchio BDP-1, completamente sostituito in catalogo dal completissimo BDP-2 su indicato, ma si tratta di un lettore di file musicali destinato a chi abbia già un DAC con SOLO un ingresso USB (o che va meglio su quell'ingresso...). Il BDP-1 accetta in ingresso HD e chiavette su porta USB, nonché i segnali che arrivano dalla porta ethernet, mentre in uscita si connette al DAC via USB.

spazio MICROMEGA

All'interno del grosso spazio espositivo del grande distributore Audio Reference, quest'anno un grande rilievo è stato dato a MICROMEGA che, con molto understatement, presentava un interessante apparecchio: il modello M-1. In un cabinet monoscocca di alluminio a pianta rettangolare e spessore ridotto, che può essere appoggiato su un tavolo (o su un ripiano di una libreria inusualmente profonda) o appeso ad una parete verticale (o obliqua), l'azienda Francese è riuscita a ficcare come dotazione base un amplificatore, un DAC in grado di trattare segnali ad altissima risoluzione (PCM fino a 768 kHz / 24 bit e DSD), un preamplificatore con ingressi e uscite anche bilanciati, un pre phono MM/MC, un ricevitore Airplay e Blutooth e un lettore di rete; il tutto comandabile in remoto dall'immancabile app per smartphone o tablet.

In più, con moduli opzionali, può attivare un DSP per una correzione acustica ambientale di potenza scalabile per esigenze (e costi). Infine, riprendendo un'impostazione vista anche – guarda caso – con la nuova serie Chamaleon di Sonus Faber, consente la completa personalizzazione dell'esterno del cabinet. L'impianto in dimostrazione, quindi, era costituito solo da questo elegante quadratone e da una coppia di diffusori (Sonus Faber, manco a dirlo...). Direte: che caso, un'azienda Francese dedicata all'audio che propone un apparecchio tuttinuno, di forma rettangolare ed appiattita, connesso a tutto, telecomandabile e molto stylish. E invece no: le somiglianze con i rettangoloni lucidi di Devialet sono solo superficiali, perché sotto il cofano sono apparecchi totalmente diversi: l'amplificazione usata da Micromega è in solida tecnologia lineare (classe AB), il DSP di elaborazione digitale può intervenire non solo per la correzione acustica ambientale, ma anche per ricreare un suono binaurale, da molti ritenuto l'optimum per la naturalezza dell'ascolto in cuffia; il pre-phono è on-board...

Insomma sono apparecchi diversi che si rivolgono ad un pubblico diverso e, dettaglio che non stona, hanno anche un prezzo ben diverso, che rende il M-1 molto più accessibile. Infatti ci sono 2 modelli, il 100 ed il 150. Il 100 costerà di base € 3.500, ha un ampli da... 100 W/ch e può accogliere i vari moduli opzionali per la codifica binaurale, e i vari step di correzione acustica ambientale, mentre il 150 dovrebbe superare i € 5.000, ha un ampli da... 150 W/ch e ha già i moduli per la codifica binaurale, e per il primo step di correzione acustica ambientale (gli altri step sono moduli opzionali). Una soluzione elegante, di sicuro interesse.

Spazio AUDIO-TECHNICA
Una parata di fonorivelatori esposta in uno spazio in una delle grandi Hall a piano terra mi ha subito ben predisposto ad una visita; il personale è stato come sempre molto disponibile e gentile e ha risposto ad ogni mia domanda. Uno dei pochi cataloghi cartacei che ho conservato è stato proprio il loro, ma è chiaro segno di nostalgica senescenza. Come ogni costruttore, anche AUDIO-TECHNICA proponeva soluzioni per l'ascolto personale, evidentemente esigenza sempre più sentita in abitazioni sempre meno estese e, quindi, con spazi sempre più condivisi con altri da non potere disturbare con le nostre invadenti passioni sonore.

Fra i vari modelli di cuffie e amplificatori/Dac per pilotarli balzava subito all'occhio un prodotto chiaramente di livello superiore. Si tratta del modello AT-HA5050H, esibito funzionante, ma ancora senza indicazioni di commercializzazione: un massiccio amplificatore ibrido(le valvole sono 2 JJ E88CC) per cuffie, capace di pilotare più di una cuffia, con due serie di 4 uscite jack stereo da 3,5 per 4 diversi valori di impedenza (da 0,1 a 120 Ohm), con ingressi analogici anche sbilanciati ed ingressi digitali sia S/PDIF (PCM, fino a 192 kHz / 24 bit) che USB (fino a PCM 384 kHz / 32 bit, o DSD 64).
Estetica vintage anni '70, che ho personalmente molto gradito, e costruzione con componentistica di gran marca (condensatori Nichicon e Wima, trasformatori d'ingresso Lundahl). Pur nel frastuono di quel grande spazio aperto, ho potuto godere per qualche minuto di un piacevolissimo ascolto di una ignota sorgente liquida (ma c'era anche una specie di salottino con sorgente vinilica in funzione, per chi preferiva; ed era sempre pieno...). Si tratta all'evidenza del prodotto di punta del suo genere e, di conseguenza, sarà proposto ad un prezzo importante, che dovrebbe aggirarsi sui € 6.000.

Sale PMC
Anche quest'anno, i diffusori PMC hanno esibito un suono a me particolarmente gradito. Innanzitutto, nella sala di maggior pregio commerciale, affacciata sull'atrio, dove suonavano diffusori della serie Fact pilotati da ampli Bryston (abbinamento classico per entrambi) e convertitore professionale della Prism Audio. L'uso di questo convertitore tradisce l'origine Pro di PMC che, infatti, sonorizza molti studi di registrazione, ambiente dove i Prism Audio godono della massima reputazione; l'addetto alla sala mi ha precisato che usano i convertitori Prism Audio sia perchè sono quelli che usano nel processo di messa a punto dei monitor da studio, sia perché... i laboratori di entrambe le aziende sono vicini di casa.
Ma il suono ancora migliore l'ho sentito nella saletta più raccolta, per appassionati, dove suonavano le twenty.26 (circa € 8.000), ottimamente pilotate, in alternativa, da un finalone Plinius in classe A (da circa € 18.550) e da un insolito finale stereo da 150 W/ch a stato solido di .B.A.T., modello 225 SE (da circa € 6.000). La sorgente era un lettore (si, qui si usavano dei dischi...) Plinius che, oltre che per il suono, mi ha colpito per la sadica interfaccia di comunicazione: anziché un comodo display con il numero della traccia in riproduzione, si accendevano delle sequenze di LED che indicavano la composizione matematica del numero di traccia... magari accettabile per i melomani, che fanno partire il disco e si sentono tutta l'opera, ma poco adatto con i generi più moderni, che spesso impongono la scelta (l'esclusione) della singola traccia nel disco. Ciò non toglie che è una di quelle sale dove sono tornato più volte, solo per un ascolto, il che qualcosa vorrà pur dire...

Per ora, come prima parte penso possa bastare :-)

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