On an Overgrown Pathé

[On an Overgrown Pathé]

Dal Letto di Procuste ad un Letto di Rose

[English version]

Autore: David Hoehl - TNT USA
Data pubblicazione: Febbraio, 2015
Traduzione a cura di: Stefano Miniero

I. Prologo

A rischio che il coro della plebe del Vecchio Scriba, dal lato sinistro del palco, si inviperisca perché invado il suo territorio, permettetemi di fare qui un breve ripasso di mitologia Greca classica: lungo la strada sacra tra Atene ed Eleusi, dove si trova un importante santuario dedicato a Demetra, la dea dei raccolti, c'era la roccaforte di Procuste, uno dei figli di Nettuno, il dio del mare. Procuste aveva la “simpatica” abitudine di avvicinare i viandanti ed invitarli per la notte, e di costringere quelli che accettavano l'invito ad adattarsi letteralmente ad un letto di ferro, o “stirando” le sventurate vittime a martellate (usando il letto come un incudine), oppure tagliando loro le gambe, se eccedevano le misure del letto. Oltretutto, Procuste non giocava in modo corretto: infatti aveva due letti, proprio per essere sicuro che le vittime non fossero mai della misura giusta! Alla fine Teseo, il più importante giovane eroe della mitologia Greca, riuscì a sottomettere Procuste dandogli una dose della sua stessa pozione, mettendo fine a quegli abusi.

A questo punto, voi sicuramente starete pensando: “certo che anche per essere una rubrica audio vintage, forse siamo tornati un po' troppo indietro. Non è che tutto questo ha qualcosa a che fare con la Mercury records? Oppure con la colonna sonora di Zorba il Greco?”. Non proprio; infatti, sebbene il focus sia comunque classicheggiante (in senso musicale), l'argomento che tratto è decisamente nuovo se osservato dal punto di vista di un appassionato di dischi ed apparecchiature molto vecchie. Per cui, con il responso favorevole dell'oracolo di Delfi, mettiamoci pure in cammino.

II. Taglia all'altezza delle ginocchia!

[Un cilindro da 2 minuti]

Le registrazioni fonografiche sono sempre state una specie di Procuste tecnologico. Prima di tutto, qualunque intrattenimento musicale popolare che fosse in circolazione veniva invitato ad entrare, tranne canzoni, inni, recite, marce, esibizioni di menestrelli, sermoni, assoli di banjo, melodie classiche (normalmente in trascrizioni bandistiche), o qualunque composizione che durasse oltre i 2 minuti, che era la durata di riproduzione standard di un cilindro di cera. Le prime registrazioni a disco, che avevano un diametro di soli 7 pollici, avevano all'incirca la stessa durata; la situazione migliorò leggermente quando i dischi in standard “78 giri” crebbero in diametro, dapprima a 10 pollici (che avevano una durata massima di circa 3 minuti e mezzo) e poi a 12 pollici (circa un minuto in più). Successive sperimentazioni, con diametri maggiori, non ebbero successo per applicazioni in ambito domestico. Come ho già detto in una precedente puntata, alla fine i cilindri riuscirono ad eguagliare il tempo di riproduzione dei dischi da 12 pollici, grazie ad una modifica di progetto, ma solo poco prima che le loro fortune iniziassero a declinare. E le cose rimasero così per circa quattro decenni.

Ora, il limite di 3 o 4 minuti era effettivamente ideale per brani come i motivetti popolari, singole arie di opere liriche, canzoni oppure brani di character piece o di salon piece (entrambi generi del diciannovesimo secolo, fatti di composizioni essenzialmente per piano - NdT), e infatti questo tipo di musica costituiva la spina dorsale del catalogo di ogni compagnia. Ma la registrazione di musica di durata maggiore, come le sinfonie o le opere intere, ovviamente rappresentava ancora un problema. Durante gran parte dell'era acustica (vale a dire prima dell'introduzione dei microfoni), la risposta usuale delle compagnie fonografiche era sempre di tipo Procustico: semplicemente, troncavano i brani di durata maggiore, per farli entrare su uno o due lati della registrazione. Come al solito, la voce fuori dal coro era la Pathé che, a partire dal 1911, iniziò a pubblicare una serie di opere relativamente complete in voluminose raccolte; il Faust di Gounod, ad esempio, era composto da ben 56 lati. Anche in questo caso, però, Procuste era in agguato nell'ombra: per ragioni mai chiarite, la compagnia registrava tutto su grandi master cilindrici per poi duplicarli meccanicamente sui dischi, e quando il lato di un disco finiva prima del cilindro, gli ingegneri tagliavano semplicemente la musica. Come risultato, la quantità di musica contenuta in una di queste raccolte “complete” poteva variare dipendentemente dalla dimensione del disco scelto per quella particolare pubblicazione!

Anche la Gramophone intraprese due o tre tentativi un po' meno ambiziosi nello stesso periodo, ma tutte queste erano comunque eccezioni ad una regola generale. Di gran lunga più tipica del periodo era, ad esempio, una pubblicazione, della Victor, della sinfonia “incompiuta” di Schubert, eseguita dalla propria orchestra, in cui ognuno dei movimenti, di una dozzina di minuti, veniva tagliato per farlo entrare in un lato da quattro minuti e mezzo.

[Un gruppo di 78 giri]

Verso la fine dell'era acustica, alla metà degli anni '20, cominciò a prendere piede un approccio differente: le opere più lunghe venivano spalmate, più o meno complete, su molteplici dischi, con interruzioni a metà del movimento, se necessario. Una sinfonia o un concerto, di durata tipica, richiedevano dai tre ai cinque dischi. Qualora un pezzo avesse avuto bisogno di un numero dispari di lati, la raccolta poteva avere un disegno decorativo stampato sul lato finale vuoto, o più frequentemente, includeva altra musica usata come “riempitivo”. Per rendere l'intera raccolta più attraente e facile da conservare, i dischi venivano raccolti, ciascuno con la sua copertina, in appositi contenitori cartonati, e tali raccolte erano dette appunto album. Questo è il motivo per cui gli LP, talvolta, vengono chiamati album: si tratta di un retaggio dei tempi in cui tutta quella musica era venduta in album pieni di dischi. Nel frattempo, dischi singoli conservati in copertine di carta continuarono ad essere il mezzo standard per le composizioni brevi, popolari o meno, per le singole arie di opere liriche o brevi pezzi strumentali (con un'interruzione a metà per quelle che duravano più di cinque, ma meno di dieci minuti). Procuste era ancora presente (di norma le ripetizioni di una frase musicale venivano eliminate, per evitare di aggiungere troppi dischi all'album, aumentandone il prezzo), ma la sua influenza era di gran lunga diminuita.

Permettetemi una breve digressione: un critico musicale degli anni '40 scrisse che tutte le volte che assisteva ad un'esecuzione del celebre primo concerto per piano di Tchaikowsky, almeno un terzo del pubblico ad un certo punto iniziava ad alzarsi, più o meno dopo 4 minuti. Guarda caso, era proprio dove la fine del primo lato interrompeva le diffusissime registrazioni di Artur Rubinstein di quel pezzo...

III. Stiralo sul letto!

Il tempo passava, e l'era dei 78 giri avanzava. Con gli anni successivi alla seconda guerra mondiale, Procuste si riaffermava nuovamente: a dispetto delle ire della critica, le compagnie fonografiche iniziarono saltuariamente a confezionare quelli che, in precedenza, sarebbero stati considerati come singoli, sia classici che popolari, all'interno di collezioni di album il cui prezzo dipendeva dal numero di dischi. Se aveste voluto comprare, diciamo, una particolare versione di una mazurka di Chopin suonata da Maryla Jonas, oppure una certa canzone eseguita da Fats Waller, sareste stati obbligati a pagarne anche molte altre. Non sorprende che quella che era una fastidiosa eccezione nell'era dei 78 giri, divenne la norma non appena questi furono rimpiazzati dagli LP. L'andamento delle cose, con gli LP, non era altro che lo specchio fedele di quel che accadeva precedentemente con i 78 giri; il tempo di riproduzione era ideale per le opere più lunghe, che potevano finalmente essere presentate senza antipatiche interruzioni dei movimenti, ma eccessivamente lungo per pezzi più brevi come singole canzoni o performance estemporanee. Il 45 giri non prese mai piede per la musica classica, ed anche come formato parzialmente adatto per la musica popolare si rivelò una soluzione tutt'altro che perfetta, man mano che la registrazione in formato LP, che rispondeva meglio alla crescente domanda di contenuti, soppiantò la singola canzone come principale unità commerciabile.

Come risultato, dove una volta il collezionista avrebbe acquistato un singolo preludio corale di Bach, adesso era costretto a comprare un disco con una successione di preludi su ciascun lato, disposti in lunghe sequenze che scoraggiavano l'ascolto di un singolo pezzo a metà di un lato. Al contrario, il modo più facile (leggi: universale) di usufruire di questi dischi, era riprodurre un lato dall'inizio alla fine, creando una “suite” artificiale di preludi, che nella testa dell'ascoltatore veniva vista come un tutt'uno. In questo modo, il singolo brano o la singola canzone persero molta della loro identità come opera d'arte a se stante. Con musica tranquilla, adatta ad un approccio contemplativo, come i preludi corali di Bach, il risultato avrebbe potuto essere un piacevole sonnellino fino alla fine del lato di un disco, proprio perché tutti quei pezzi erano stati cuciti insieme in un modo che non rispecchiava le intenzioni del compositore. I nastri, sia le bobine (che persero la battaglia con gli allora nuovissimi LP) che le cassette (che cominciarono a vincere la battaglia verso la fine del regno degli LP), resero questi accessi “intermedi” anche più difficili. Procuste continuava a sorridere.

Entriamo nell'era dei CD, e dopo un breve spavento iniziale il sorriso di Procuste si trasformò in una risata incontrollabile, non appena fu chiaro che quella che, in principio, era un'opportunità stava diventando un guaio, anche peggiore di prima. Data la maggior durata del tempo di riproduzione, i CD erano progettati per avere un potente sistema di accesso che frazionava la musica in tracce, che erano a loro volta ulteriormente suddivise mediante dei punti di indirizzamento. Prendiamo, ad esempio, le sei suite per violoncello di Bach, ciascuna composta da sei movimenti. Su un LP, ogni suite sarebbe probabilmente stata incisa su un singolo lato. Con un CD, al contrario, quattro suite sarebbero entrate in solo disco. Secondo i piani originali, queste avrebbero dovuto essere organizzate in quattro tracce distinte, una per ogni suite, ed ogni traccia avrebbe dovuto avere sei punti di indirizzamento, uno per ciascun movimento, tutti accessibili tramite i controlli del proprio lettore. Per riprodurre solo la terza suite, l'ascoltatore avrebbe dovuto selezionare la traccia numero 3, premere “program”, e quindi premere “play”. Per riprodurre solo un movimento da quella suite, avrebbe dovuto selezionare la traccia numero 3 e quindi l'indice 6. Per riprodurre singoli pezzi, spesso non sarebbe nemmeno stato necessario riferirsi alla lista delle tracce.

La realtà delle cose si dimostrò ben diversa. Solo un esiguo numero dei primi dischi adottò il nuovo sistema; l'etichetta Newport Classics, per esempio, indicizzò “analiticamente” alcune delle sue pubblicazioni di Beethoven assegnando una traccia a ciascun movimento, e un numero d'indice specifico ad ognuna delle sue parti (esposizione, sviluppo, ripresa, coda, ecc.). Purtroppo, qualunque fosse la ragione (problemi di gestione delle relazioni tra indici e tracce? relativa inutilità di tale funzione per la musica popolare?) i produttori di dischi e di lettori in gran parte ignorarono il sistema dei punti di indirizzamento, adottando solo il numero di traccia per organizzare i brani. Quindi, tornando alle nostre suite per violoncello di Bach, se voleste riprodurre solo la terza suite, all'atto pratico sareste obbligati a consultare la lista della tracce per capire quale sia quella iniziale e quella finale, ed a programmare ognuno dei sei movimenti separatamente. Tale procedura è abbastanza seccante da indurre, solitamente, l'ascoltatore a riprodurre tutto il disco, dall'inizio alla fine. Questo significa che il fenomeno delle “suite artificiali” non riguarderà più solo sequenze di brani di breve durata, ma anche sequenze composte da brani più lunghi. Quando gli accoppiamenti sono molto comuni, brani multipli di lunga durata tendono ad essere “stirati” nella mente dell'ascoltatore, fino a diventare un solo lunghissimo brano; i concerti per pianoforte di Schumann e di Grieg si trasformano in un concerto di Griegmann, in sei movimenti stilisticamente incompatibili. Procuste danza sulle note di un breve intermezzo (dalla traccia 18 alla traccia 24).

IV. Teseo ci toglie dai guai

Ricapitolando, i sistemi di registrazione hanno sempre emulato Procuste, forzando la musica ad adattarsi ad una durata massima di riproduzione gradualmente crescente, a volte facendole violenza in questo processo. Fortunatamente, la moderna tecnologia informatica ci offre finalmente il modo di mettere Procuste a dormire per sempre: il “music server” domestico, che non è altro che un nome fantasioso per (a) un computer relativamente potente dotato di un disco rigido molto capace ed equipaggiato con del software adatto a copiare, processare e riprodurre musica o, forse, (b) qualcosa tipo il Cocktail Audio X10, CD player/music server/processore di musica recensito qui su TNT a Novembre del 2013. A conti fatti, un server del genere ci riporta indietro ai tempi in cui molti di noi facevano copie su nastro dei propri LP, che venivano tenute come “copie di archivio”, ma con possibilità che oggi sono largamente superiori, tali da permettere la gestione integrale di una grande collezione di musica.

Conoscendo i nostri lettori (come anche i nostri autori!), già li vedo affilare le lame, formare barricate in strada e sento la rabbia montare intorno ai fuochi, quindi mi sbrigo subito a chiarire qualche punto controverso. Prima di tutto, essendo stato un collezionista per più di 40 anni, non sono secondo a nessuno quanto ad amore per le registrazioni fisiche, in tutte le loro svariate forme. Non sto in alcun modo suggerendo che qualcuno debba digitalizzare la propria collezione e gettarla nel cassonetto. In secondo luogo, computer audio non è affatto sinonimo di, giustamente disprezzati, file ultra-compressi come gli mp3. Al giorno d'oggi, i computer domestici possono lavorare con file a risoluzioni molto maggiori del CD, senza alcuna necessità di comprimerli in formati “lossy” (con perdita di informazioni - NdT) per conservarli su disco. Terzo, copiare musica su un computer non vuol dire “scaricare selvaggiamente”. Al contrario, occorre considerare le registrazioni che amiamo con sguardo disincantato, prendere coscienza che hanno dei pregi come anche dei difetti, e trovare un modo pratico per gestire i secondi. Quarto, sebbene nessuno voglia ammetterlo, il download sarà, molto probabilmente, il migliore degli scenari possibili, in futuro; costruire adesso un sistema di riproduzione basato su un computer, semplificherà enormemente l'integrazione nelle nostre collezioni di materiale artistico distribuito per via elettronica. Sì, ma questo è lo scenario migliore; quale sarà quello peggiore? Lo streaming di audio compresso potrebbe rimpiazzare il vecchio concetto di “possedere la copia” di una registrazione, il che sarebbe la fine del “collezionismo” così come lo conosciamo oggi. E questo pensiero mi terrorizza!

Naturalmente, nessuna di queste considerazioni ha direttamente a che fare con l'eliminazione dell'effetto Procustico. Ma riprendiamo quelle “suite artificiali”, assemblate per adattarsi ai formati di durata maggiore. Il computer, alla fine, ci fornisce uno strumento per spezzare la tirannia dell'abbinamento forzato, che dura da oltre settant'anni; infatti, un disco rigido è del tutto indifferente rispetto alla durata di un dato brano musicale, e ad ognuno di essi può quindi essere restituita la sua propria identità individuale. Ad esempio, nel mio sistema, mediante una struttura “ad albero” dei file di Windows, si può assegnare a ciascun compositore una cartella, con delle sotto-cartelle per le esecuzioni di singole composizioni. Riprodurre una registrazione di un concerto per pianoforte di Schumann, eseguito da Sviatoslav Richter e che la Deutsche Grammophon abbinava in modo stereotipato alle sue esecuzioni dei concerti di Grieg, significa seguire un percorso come questo:

In questo modo, si può riprodurre il concerto di Schumann senza neanche una nota di quello di Grieg. Riprodurre quel concerto significa seguire un percorso del tutto simile, ma partendo dalla cartella “Grieg”, anche in questo caso individuando facilmente tutte le esecuzioni raccolte in un unico punto, e selezionando quella desiderata. Una volta salvate sul sistema, si può adottare lo stesso approccio anche per singole sonate di Scarlatti, per le ballate di Chopin, o per qualunque altro brano che precedentemente avrebbe dovuto essere raggruppato artificialmente insieme ad altri, per completare lati di supporti fisici. Tenete presente che al computer non importa nulla di quale fosse il formato fisico originario della registrazione, per cui è possibile conservare facilmente i CD “rippati” insieme ai download dalla rete ed alle duplicazioni di cilindri, 78 giri, LP o cassette, a qualunque livello di risoluzione si desideri. Ma, per favore, assicuratevi di avere dei buoni backup!

Un avvertimento: il mio sistema è un po' difficile da gestire, in parte perché lo utilizzo da poco, ed in parte perché è stato pensato proprio per facilitare la disgregazione degli abbinamenti forzati negli album e la flessibilità nel comporre formati diversi. Pertanto, richiede parecchio inserimento manuale di dati e non registra le copertine degli album. Dall'epoca in cui lo configurai, sono stati rilasciati parecchi software in grado di identificare i CD, mostrare le copertine degli album, e fare tutto il lavoro di etichettatura al posto vostro. Potenzialmente, quest'ultima funzionalità è davvero interessante: l'inserimento manuale dei dati, infatti, è sempre stato la bestia nera di chiunque debba configurare dei server. Ma tenete presente, comunque, che, se un tale software non è in grado di “scardinare” quei fastidiosi abbinamenti forzati degli album o ha qualche problema a gestire formati diversi, di fatto compromette quello che, per me, è il vero punto di forza di un computer nella gestione di una collezione musicale. Come al solito, fate preventivamente le vostre verifiche, e non dimenticate mai che il modo in cui configurate il vostro sistema implica, necessariamente, dei compromessi.

Ma che dire dei collezionisti delle registrazioni dell'era pre-LP? Non c'è bisogno di precisare che non si può far nulla per la musica che è stata troncata prima di essere registrata. Inoltre, nessun music server potrà mai gestire il problema delle opere lunghe, suddivise in molti lati dalla durata più breve. Ciò nonostante, si adatta alla perfezione al software che permette di gestire il problema della lunghezza eccessiva dei lati. Per rimettere insieme i pezzi di un'esecuzione continua, spezzettata su molti lati di un disco, eliminando in tal modo la restrizione del tempo di riproduzione delle registrazioni a 78 giri, le funzionalità di base dei software di editing audio danno risultati di gran lunga migliori di quelli che si potevano ottenere con bobine e taglierino, ed inoltre si possono utilizzare software di riduzione del rumore per ottenere risultati molto più realistici di qualunque riversamento su LP (i riversamenti su CD sono un'altra storia, ma questa è materia che sarà trattata in un altro articolo!). Un server del genere vi consente di salvare il risultato di un'operazione di restauro, senza necessità di ricorrere ad altri supporti fisici come i CD-ROM e, cosa ancor più importante, vi permette di integrarla pienamente nella vostra collezione di musica, a prescindere dal formato originario. A quel punto, tutta la musica, dovunque e comunque sia stata registrata, viene messa sullo stesso piano, con ogni composizione conservata indipendentemente dalla altre, infischiandosene del formato e senza limitazioni di durata. Procuste, Riposa In Pace!

[Musica apprezzata durante la stesura di questo articolo: la canzone di “Seikilos”, la melodia completa più antica conosciuta, riportata su un'iscrizione funeraria Greca databile tra il 200 A.C. ed il 100 D.C., nell'interpretazione improvvisata da Oskar Gottlieb Blarr e Peter Rübsam su organo e cornamusa, rispettivamente (la trovate sul CD di Koch Schwann 316 021 F1, nella riedizione su CD di Schwann Musica Mundi VMS 2049, o su un LP del 1976).]

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