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Autore: David Hoehl - TNT USA
Data pubblicazione: Febbraio, 2015
Traduzione a cura di: Stefano Miniero
La volta scorsa, come ricorderete, ci siamo occupati degli stili più comuni nell'epoca della registrazione acustica, quelli permanenti. Questa settimana incontriamo il piccolo Victor che, riferendosi allo zio Tommy, dice che gli stili che non si possono cambiare sono antipatici, e che una parte del divertimento sta proprio nel rituale della sostituzione dello stilo ad ogni cambio di disco. Ebbene sì, è venuto il momento di voltare lato del disco ed incontrare gli stili sostituibili, nell'episodio di oggi!
D'accordo, ve lo concedo: si tratta di un'introduzione un po' traballante anche per i miei modesti standard, ma la storia delle registrazioni analogiche talvolta sembra la trama di una telenovela, nella quale l'emergente Clan “Laterale” è in competizione con la vecchia, potente famiglia dell'incisione Verticale per la ricchezza ed il potere, e nel mondo dell'incisione laterale la riproduzione stava tutta nelle puntine che l'utente cambiava ogni volta: le puntine sostituibili, appunto. Quelle più comuni erano in acciaio ma, come vedremo, c'erano anche altre possibilità.
Riprendendo il discorso dall'inizio, sebbene i suoi brevetti fonografici prevedessero anche i dischi come supporto di registrazione, nel momento in cui Edison andò sul mercato scelse di produrre solamente cilindri. La paternità dello sviluppo del primo sistema a disco per uso domestico spetta infatti a Emile Berliner, un tedesco immigrato negli Stati Uniti, che nei primi anni dovette sbarcare il lunario facendo vari lavoretti durante il giorno, mentre la notte si dava da fare come inventore, pur non avendo, per sua stessa ammissione, le doti di un genio come Edison. Come ho già scritto in un precedente articolo di questa rubrica, le registrazioni a disco che aveva sviluppato erano caratterizzate da un solco ad incisione laterale, in una fase iniziale ricavando il master attraverso l'incisione del solco su supporti vergini di metallo, ricoperti di olio, mediante un bagno acido. In seguito, (dopo controversie sui brevetti che al momento esulano dalla nostra discussione) modulando l'incisione del solco su supporti vergini di cera, che venivano poi trattati galvanicamente, un processo ben più efficiente e veloce. Per poter produrre e vendere questo nuovo tipo di registrazioni e le relative macchine per riprodurle, Berliner fondò la “Gramophone Company”. Tenete presente che lui stava creando un intero nuovo sistema partendo da zero, e senza avere a disposizione le risorse di Edison. Di conseguenza, dovette adottare un approccio più semplice possibile e stabilì pertanto che questi nuovi dischi sarebbero stati riprodotti attraverso una puntina in metallo, agganciata al riproduttore tramite un mandrino a vite; se il possessore di un nuovo, scintillante grammofono fosse riuscito a trovare puntine fonografiche dedicate presso il suo rivenditore di fiducia, tanto meglio; altrimenti, l'ago di una macchina da cucire rotta sarebbe andato benissimo lo stesso.
Stabiliamo subito il primo importante punto fermo sugli stili in acciaio: ciascuno stilo può essere usato solamente una volta; quando cambiate il disco, dovrete cambiare anche la puntina. Perché? Dipende tutto, cosa piuttosto strana, dal materiale con cui venivano stampati i 78 giri ad incisione laterale. Tale materiale è conosciuto come “gommalacca”, ed in effetti la gommalacca ne era il componente principale, ma era comunque solo uno degli ingredienti della composizione, ed ogni compagnia ne custodiva gelosamente la ricetta, almeno quanto la Kentucky Fried Chicken fa con i suoi celebri condimenti a base di erbe e spezie. Nei primi decenni della loro esistenza, nella composizione dei dischi c'era invariabilmente una qualche sostanza abrasiva, come il carborundo o la polvere d'ardesia, che serviva proprio a modellare la punta dello stilo in modo esattamente corrispondente allo specifico solco di quel disco. Se osservate uno stilo nuovo ed uno usato sotto una sorgente luminosa molto potente, potrete vedere come il primo abbia una punta di forma grossomodo sferica, mentre la punta del secondo termina con una sorta di V, con i lati appiattiti ed un allungamento piuttosto ridotto. Questa è proprio la conseguenza dell'azione di quell'abrasivo. Chiaramente, una volta che la punta dello stilo sia stata modellata da un particolare solco, risulterà molto aggressiva con ogni altro solco (tenete sempre a mente che su queste macchine acustiche, la forza di tracciamento era nell'intorno dei 75 grammi), ed usarlo una seconda volta rettificherà ulteriormente la terminazione della puntina, fino al punto che la riproduzione si affievolirà sempre di più. Ragion per cui, usate uno stilo nuovo per ogni riproduzione.
Ma quando si parla di questi “umili” stili fonografici in acciaio, c'è anche qualcosa di più di quel che appare a prima vista. Gli stili in acciaio, infatti, non agivano soltanto come punto di contatto tra il disco ed il meccanismo di riproduzione, ma fungevano anche come una sorta di rudimentale controllo del volume. Le macchine acustiche, naturalmente, non avevano manopole del volume come quelle dei moderni pre-amplificatori elettronici. I modelli dotati di un cabinet chiuso potevano parzializzare il volume attraverso la chiusura della camera della tromba, dotandone l'imboccatura di sportelli regolabili (che era l'approccio della Victrola e, che ci crediate o no, era un brevetto della Victor), oppure di feritoie (che era l'approccio, brevettato anch'esso, che la Columbia adottò per i suoi Graphonolas), oppure ancora usando un otturatore che restringesse l'imboccatura della camera (e questo era invece l'approccio adottato, tra gli altri, dalla Pathé per i suoi Pathéphone, ed anche dalla Aeolian Vocalion per la serie Graduola, che prevedeva persino un avveniristico telecomando a filo). Le macchine a tromba aperta, al contrario, non avevano alcuna possibilità intrinseca di regolare il volume. Ma ecco che arrivano in soccorso gli stili in acciaio! Gli intraprendenti amanti dei dischi del tempo, potevano comprare gli stili in diverse gradazioni, dal livello "forte" o "extra", fino ai livelli "medi" e "lievi", essendo la differenza unicamente nello spessore del fusto della puntina: una puntina più sottile aveva una maggiore flessibilità, e durante la riproduzione trasmetteva quindi minore energia meccanica al diaframma del riproduttore. Alcuni stili per i livelli più bassi avevano anche un restringimento al centro in stile “vitino di vespa”, o iniziavano con un diametro all'incirca come quello dell'ago di una macchina da cucire, e terminavano con uno spessore maggiore, adatto ad agganciarsi al mandrino a vite. Ma queste tipologie di stili non sono, in genere, disponibili al giorno d'oggi.
Per loro natura, la macchine per i cilindri o per i dischi Edison, con i loro stili fissi in zaffiro o diamante, non avevano alcuna possibilità di cambiare stilo per regolare il volume. Per le macchine a tromba aperta esisteva un apposito accessorio, chiamato Tizzit, che era essenzialmente una strozzatura meccanica che si metteva tra il riproduttore e la tromba, e che si collegava a questi tramite un corto tubo flessibile in gomma. Essendo preclusa la possibilità di montare uno sportello sull'imboccatura della tromba dal brevetto della Victor, i fonografi per dischi Edison, adatti agli stili in diamante, che erano tutti modelli a cabinet chiuso ma che montavano una tromba in metallo separata, imperniata e che s'incurvava sotto al motore, avevano un sistema assai ingegnoso: erano equipaggiati con una grossa palla in tessuto lanuginoso, che si poteva spingere nell'imboccatura della tromba mediante un cavo simile a quello dei freni della bicicletta. Tuttavia, quando il brevetto della Victor giunse a scadenza, Edison abbandonò questo costoso sistema e nei suoi ultimi modelli per dischi acustici, i fonografi Edisonic, lo sostituì con un semplice sportellino regolabile.
Ma tornando agli stili in acciaio, l'adozione di sostanze abrasive nella formulazione del materiale dei dischi per modellare la punta dello stilo durante la riproduzione ha, almeno parzialmente, delle conseguenze per coloro che riproducono i 78 giri acustici o anche i primi elettrici, su macchine moderne: i dischi sono quasi sempre più rumorosi sui solchi esterni e meno verso il centro. All'inizio del disco, infatti, lo stilo non è ancora usurato, e quindi è più aggressivo per i solchi, mentre viene modellato dal solco stesso man mano che gira approssimandosi al centro del disco. Questa tecnica di “rettificare” lo stilo in fase di riproduzione determina, in pratica, quali registrazioni possano e quali non possano essere riprodotte su un fonografo meccanico. I dischi prodotti fino ai tardi anni '20 erano pensati proprio per tali macchine e contenevano ancora la stessa quantità di sostanze abrasive, nella loro formulazione. All'inizio degli anni '30, le testine elettriche iniziarono però a rimpiazzare i riproduttori acustici ma, stranamente, continuavano a fare affidamento su stili in acciaio agganciati ad un fermo a vite, e la miscela dei dischi dello stesso periodo conteneva ancora una buona dose di abrasivo. Questi pickup usavano un grosso magnete a ferro di cavallo, ed erano quindi appena un po' più leggeri dei dispositivi meccanici che avevano sostituito. Tuttavia, negli anni '40 le testine divennero più leggere e poterono finalmente abbandonare gli stili in acciaio in favore di quelli con puntine terminate in diamante o zaffiro. Di conseguenza, i dischi stampati a partire dalla metà degli anni '30 avevano nella loro composizione una quantità nettamente minore di abrasivo, e non dovrebbero pertanto essere riprodotti su fonografi meccanici: in altre parole, non fate mai suonare un disco di Tommy Dorsey della seconda guerra mondiale su un Victrola della prima! Gli stili in acciaio sono tuttora reperibili, prevalentemente dai rivenditori specializzati nel mercato dell'antiquariato, ed attualmente vengono venduti in piccoli involucri di carta marrone o in scatolette di plastica trasparente. Tuttavia, nel periodo del loro massimo fulgore, quando gli stili in acciaio erano articoli che si smerciavano comunemente tutti i giorni, venivano spesso venduti in contenitori con stampe colorate o in scatoline in metallo, nell'intento di differenziare tale mercanzia agli occhi dei clienti. Certo, le principali compagnie vendevano tutte direttamente, anche gli stili, ma lo stesso faceva una nutrita schiera di altri fornitori, e le scatolette per gli stili sono diventate esse stesse articoli ricercatissimi dai collezionisti, sia da sole che, più frequentemente, come complemento alle collezioni di dischi o fonografi.
Gli stili in acciaio erano e rimangono la scelta più comune per la riproduzione dei 78 giri su fonografi meccanici, o anche sui primi elettrici, ma in realtà non erano affatto, e in una certa misura non sono neanche oggi, l'unica scelta possibile. Una di queste alternative, che conserva tuttora una certa popolarità tra i collezionisti, è lo “stilo in fibra”, di solito fatto in bambù. Lo stilo in fibra ha una doppia sezione triangolare e, diversamente dalla maggior parte delle altre possibili alternative, non somiglia per niente all'ago di una macchina da cucire. Attraverso uno speciale sagomatore, un lato veniva tagliato in forma di uno spigolo affilato, e la puntina veniva posizionata nel riproduttore in modo da far coincidere quella parte affilata con il solco del disco. In molti riproduttori, l'alloggiamento per la puntina, specialmente nelle macchine della Victor, era di forma triangolare proprio per facilitare l'inserimento di tali puntine. I vantaggi dichiarati per gli stili in fibra, rispetto alle loro controparti in metallo, includono, tra gli altri: la riproduzione di un tono più morbido e in qualche modo più naturale; una migliore reiezione del rumore superficiale; una minore usura per i solchi; ed infine l'essere riutilizzabili, almeno in una certa misura, cioè fino a quando si poteva ancora rifilarli con l'apposito sagomatore. D'altra parte però, almeno una fonte dell'epoca ne denunciava una certa tendenza a “piegarsi”, fino a perdere la punta a metà del filo, rovinando in tal modo i solchi con quella estremità smussata. Io non li ho mai provati di persona, ma devo ammettere di esserne rimasto colpito dal suono, quando un altro collezionista di macchine fonografiche me ne ha fatti sentire un paio.
Quando riprodurre più di un lato per puntina diventò obbligatorio, come ad esempio con i caricatori per dischi che vennero introdotti alla fine degli anni '20, l'utente poteva acquistare puntine al cromo, ciascuna delle quali poteva funzionare per riprodurre un numero ridotto di lati. In più, si diceva che fossero utili anche per pulire i solchi dei dischi nuovi dai residui di lavorazione. Si diceva anche, però, che le puntine al cromo causassero un'usura molto maggiore dei dischi, a lungo andare, ed inoltre, sebbene ci mettessero di più a rovinarsi rispetto all'acciaio più tenero, perdevano comunque in qualità della riproduzione man mano che il numero di lati riprodotti aumentava.
Potreste anche imbattervi in stili sostituibili realizzati in osmio, o che venivano venduti come tali. Ma, pur se tali stili si innestano senza problemi sul mandrino a vite delle macchine più vecchie, in realtà non sono affatto adatti per queste macchine. Infatti, erano pensati per funzionare sui pickup elettrici più leggeri, che cominciarono a diffondersi negli anni '40 e '50, e se li montate su riproduttori acustici danneggerete rapidamente i vostri dischi. E per favore, ora non chiedetemi come faccio a saperlo...
Merita infine una menzione il tipo di stilo conosciuto come Victor “Tungs-tone” (gioco di parole tra tungsteno e tono - NdT) il quale, similmente alla sfera in zaffiro della Pathé, aveva una punta in materiale particolarmente resistente, montata su una boccola in ottone. In effetti, in questo caso la punta era un minuscolo cilindro di tungsteno. Ora, il tungsteno è assai più duro dell'acciaio, e la puntina aveva in tal modo una durata sufficiente per un numero considerevole di riproduzioni, soprattutto se l'utente seguiva la raccomandazione della Victor, in contrasto con la prassi appropriata per gli stili in acciaio, di ruotare lo stilo intorno all'asse verticale di un quarto di giro ad intervalli regolari. Chiaramente, nessun produttore odierno distribuisce stili del tipo “Tungs-tone”, che però hanno tuttora i loro sostenitori tra quei collezionisti che sono riusciti a procurarsene vecchi esemplari funzionanti. Io stesso ho una qualche limitata esperienza che posso riportarvi, dal momento che ne ho provato uno sul mio Pathéphone, quando ero agli inizi. In realtà, questa combinazione non si è rivelata molto adatta per i dischi che ci ho fatto suonare, ma il problema potrebbe essere dipeso dall'inconsueto angolo per lo stilo in uso nei riproduttori Pathé. Non a caso, in seguito ho scoperto che gli stili “Tungs-tone” dovrebbero essere adatti solo a macchine Victor ben regolate, in cui lo stilo presenta una angolazione di 90° rispetto alla superficie del disco. Oltretutto, essi sono notoriamente molto duri, e causano quindi un'usura dei dischi un po' superiore alla norma. Quindi, il mio consiglio, se intendete provare uno stilo “Tungs-tone” su un fonografo meccanico, è di installarlo solo su macchine Victor, e di procedere con cautela, testandolo su qualche disco “da battaglia”, prima di farci suonare qualunque disco a cui teniate veramente.
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