Prodotto: Diffusori Arbour 4.20
Distributore: Alcor S.p.A.
- Italia
Produttore: Indiana Line
Prezzo approssimativo: 480 Euro (coppia)
Recensore: Stefano Monteferri - TNT Italia
Recensito: Febbraio 2004
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La serie Arbour costituisce la linea più ricercata della produzione Indiana Line, e nel tempo si è andata affermando raccogliendo diversi consensi da parte del pubblico audiofilo intenzionato ad entrare in possesso di un prodotto musicalmente valido e ben rifinito, generoso e poco intrusivo in ambiente, e tuttavia particolarmente attento ai costi di acquisto, non essendo disposto, per motivi di vario genere, ad investire più di tanto per il proprio sistema di ascolto (nel caso specifico, diffusori).
Si, insomma, diciamo le cose come stanno: i diffusori Indiana Line sono in genere piuttosto economici, ma comunque in grado di soddisfare le esigenze di chi persegue la strada del "buon ascolto", anche se "entry level".
Ricordo con piacere il periodo di convivenza con le snelle torri Arbour 5.20, diffusori graziosi di aspetto e generosi nelle prestazioni, e nell'installare in ambiente questi nuovissimi 4.20, che sembrano una fotocopia in scala ridotta del modello superiore, devo riconoscere che mi aspettavo di riscontrare la stessa cosa anche dal punto di vista prettamente musicale. Beh, non è stato esattamente così (perlomeno non del tutto)...
Al pari del modello superiore, gli Arbour 4.20 sono diffusori a tre vie da pavimento dotati ciascuno di un tweeter a cupola morbida in seta da 26mm, con magnete al neodimio e bobina mobile con ferrofluido, e due woofer da 114mm con membrana in polipropilene e mica a radiazione diretta, in connessione parallelo con frequenze di taglio differenti. Il woofer inferiore è infatti collegato ad un filtro passa-basso con frequenza di taglio di circa 70Hz, mentre quello superiore opera in banda larga fino ad una frequenza di circa 3500Hz, agendo quindi in parallelo con l'altro fino a circa 70Hz al fine di rinforzare le basse frequenze. Come osservato sulle Arbour 5.20, il sistema di accordo utilizzato è il "doppio carico reflex asimmetrico in serie" (due camere di diverso volume, comunicanti fra loro, ciascuna accordata ad una propria frequenza). Il condotto di accordo della seconda camera sfocia nella base del diffusore, col risultato che la vicinanza del pavimento rinforza l'emissione alle frequenze più gravi.
Questi i dati dichiarati:
Molto graziosi dal punto di vista estetico, i diffusori Arbour 4.20 sono rifiniti in noce impiallacciata (vera) che contrasta piacevolmente con il nero della base e della griglia parapolvere. I collegamenti elettrici non prevedono il biwiring, ma non direi che, a questi livelli di prezzo, questo possa costituire un limite. Semplice il carico mostrato all'amplificatore.
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Le piccole torri Arbour 4.20 hanno mostrato un carattere piuttosto diverso rispetto alle 5.20. È apparsa infatti subito evidente una minore generosità in gamma bassa e mediobassa, ed una migliore integrazione tra woofer alto e tweeter. L'estensione in frequenza è notevole, arrivando ad eccitare in ambiente frequenze nell'ordine dei 30Hz con buona energia, cosa che rende (inaspettatamente, lo ammetto, data la piccola dimensione dei diffusori) avvertibile persino la pedaliera dell'organo a canne (Felix Hell - Organ Sensation, Reference Recording). Salendo in frequenza, si riscontra un mediobasso di apprezzabile agilità (il doppio carico asimmetrico consente di incrementare parecchio la risposta in basso, ma evidentemente qualcosina in termini di velocità ed articolazione rispetto a quanto potenzialmente ottenibile da altoparlanti così piccoli viene sacrificato), tonalmente ben omogeneo con la gamma media. Dicevamo della gamma medioalta che, sempre rispetto alle 5.20, evidentemente trae evidente beneficio dall'adozione di woofer di minori dimensioni, cosa che ha consentito di elevare il punto di incrocio da 3100 a 3500Hz, e non si notano più indecisioni in termini di transizione con il tweeter. Tweeter che, dal canto suo, per essere un componente dal costo sostanzialmente allineato con la classe di appartenenza dei diffusori, si comporta comunque piuttosto bene. È contraddistinto da una moderata asciuttezza, che tende tuttavia a stemperarsi con l'uso, e pecca lievemente solo in quei parametri in cui, francamente, non sembra lecito attendersi prestazioni molto superiori (leggi ariosità ed attenzione nel seguire i tempi di decadimento delle armoniche, tirati via un po' di fretta rispetto ai migliori - e purtroppo ben più costosi - esponenti). Come accaduto nel caso delle 5.20, è probabile che il periodo di rodaggio necessario vada ben oltre le 20 ore raccomandate dalla casa.
Nel complesso, si tratta di un'impostazione timbrica più corretta rispetto alle 5.20, anche se si è perso qualcosa in termini di impatto e coinvolgimento emotivo (d'altro canto i cabinet hanno circa il 30% in meno di volume e la superficie di emissione dei woofer è quasi la metà). Una scelta tecnica e commerciale comprensibile del resto, non avrebbe avuto molto senso proporre una sorta di replica di un diffusore talmente vicino a catalogo, molto meglio diversificare la produzione allo scopo di soddisfare più di un "palato audiofilo". Ed ecco quindi che la sensazione trasmessa è quella di una prestazione dinamica generale più contenuta e compassata, di una minore fisicità del suono rispetto alle sorelline maggiori. D'altro canto, anche la minore efficienza e la più bassa tenuta in potenza contribuiscono a limitare la prestazione in tal senso (con buona soddisfazione per i vicini di appartamento, anche se per gli "insaziabili" ci sarebbe sempre la possibilità di inserere il sub della casa, l'Arbour Sub... :-).
In compenso, l'inserimento in ambiente è decisamente meno critico, e le piccole 4.20 possono essere posizionate in sala di ascolto molto più prossime alle pareti circostanti di quanto non sia consigliabile fare con le 5.20 (potrebbe essere anzi opportuno), e risultano decisamente più adatte per essere collocate in ambienti piccoli o mediopiccoli. Ed è proprio in tale contesto le 4.20 riescono a sorprendere l'ascoltatore ogni volta che si richiede loro di riprodurre brani con un notevole contenuto energetico alle basse frequenze. Da piccoli ed esili parallelepipedi impegnati a dispensare musica in modo sostanzialmente discreto, con una gamma intermedia il cui senso di realismo risulta evidentemente allineato con la classe di appartenenza del prodotto, si trasformano musicalmente in giganti, facendo letteralmente tremare vetri e porte, al punto che il senso visivo fatica ad accettare quanto invece il senso uditivo è in grado di farci percepire.
Nulla da eccepire per quanto riguarda l'immagine virtuale, sorprendente per dimensioni e respiro prospettico, ben focalizzata e leggibile senza sforzi di alcun tipo. I diffusori spariscono letteralmente, con l'olografia che si estende lateralmente ben al di là della loro fisicità, ed in senso verticale fino a lambire il soffitto della sala di ascolto. La parete posteriore viene invece oltrepassata con leggiadria, come in un sottile gioco di eteree figure che appaiono e scompaiono, illusorie, ai sensi dell'ascoltatore. Un eccellente risultato, ottenibile ovviamente a patto che determinate informazioni giungano ai trasduttori non mortificate da quanto collocato a monte degli stessi (se un minimo di qualità non c'è, di certo le Arbour 4.20 non potranno inventarsela...).
A questo prezzo, considerate le prestazioni ed il livello di finitura riscontrati, c'è ben poco di cui lamentarsi. Ho trovato solo un po' precaria la stabilità dei diffusori, a causa del peso tutto sommato limitato (e del baricentro del diffusore piuttosto alto), e della base di appoggio di dimensioni piuttosto ridotte (le stesse del diffusore sul piano orizzontale). Evidentemente sono state parzialmente sacrificate esigenze di ordine pratico sull'altare dell'aspetto estetico...
Nel corso della prova, ho inserito per la gran parte del tempo le Arbour 4.20 in un contesto che, presumibilmente, avrebbe dovuto essere quello di riferimento (un impianto dal costo totale di circa 1500 Euro). Alla fine, non ho resistito alla tentazione di collegarle ad elettroniche di elevato lignaggio, e sono ancora qui a stupirmi dei risultati. Le piccole Indiana Line dispongono di potenzialità ben superiori a quanto lascerebbe intendere il prezzo di acquisto, in particolare con il jazz ed i generi più moderni, ed hanno mostrato di gradire parecchio amplificatori dotati di energici spunti dinamici.
Quali partner ideali, suggerirei quindi una sorgente dal suono neutro o tendente lievemente al caldo, ed un'amplificazione di buona potenza dinamica ed un deciso senso del ritmo. Se entrambi sono poi in grado di restituire un'immagine virtuale di buon livello, allora ci saranno tutti i presupposti necessari per godersi tanta buona musica ad interessantissimi livelli di "convenienza economica".
© Copyright 2004 Stefano Monteferri - www.tnt-audio.com