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Sito ufficiale della mostra: Capital Audiofest - USA
Periodo e luogo di svolgimento: 28-30 agosto 2015, Rockville, Maryland, periferia di Washington, DC
Data del reportage: Gennaio, 2016
Autore: David Hoehl - TNT USA
Traduttore: Roberto Felletti
Sento già esclamare: «Sbalorditivo! Che ci fa lui a questo evento? Già è stato abbastanza brutto quando ha cercato di creare degli ibridi combinando computer e aghi di acciaio; quale motivo al mondo lo ha fatto capitare a una mostra di audio high-end, nel 2015? E, cosa più importante, perché ci è andato? Per caso, c'erano dei Victrolas in esposizione?»
Ebbene, come quell'articolo sui computer ha indubbiamente dimostrato, sono sempre interessato a come la tecnologia moderna si riflette o interagisce o rispecchia i primi anni delle registrazioni. A parte questo, staremo a vedere.
Da parecchi anni ormai, l'area metropolitana di Washington DC ha il piacere di ospitare la sua personale mostra dedicata all'audio high end: il Capital Audiofest. Scrissi, per TNT, il reportage dell'edizione 2013 e ci provai anche nel 2014, ma i miei sforzi si rivelarono vani a causa di alcuni inconvenienti:
- arrivai talmente in anticipo che non tutti gli espositori “di riferimento” avevano completato l'allestimento della loro sala;
- mi trovai alle prese con un mal di testa insopportabile (dovuto, purtroppo, a mancanza di sonno e a una misera colazione, e nemmeno lontanamente riconducibile a qualcosa di piacevole capitato la notte precedente), per cui non ero certo nella condizione ideale per visitare camere d'albergo surriscaldate piene di amplificatori potenti regolati a manetta;
- riuscii a parcheggiare in un punto infelice, pagando parecchio;
- infine, prima di essere riuscito a visitare, freneticamente, tutte le sale, mi accorsi che avevo superato il tempo concessomi dalla famiglia, incappando nelle ire della consorte, la quale mi rimproverò che avremmo fatto tardi per portare nostra figlia a una lezione di pattinaggio sul ghiaccio.
A dire il vero, ce la facemmo (e anche comodamente), ma, manco a dirlo, per un po', qualsiasi accenno al fatto che avrei avuto bisogno di tempo per scrivere un articolo veniva accolto con un atteggiamento al cui confronto quella pista di pattinaggio sembrava decisamente una spiaggia tropicale. Con il trascorrere del tempo, le cose si erano sufficientemente calmate, al punto da permettermi di fare un tentativo; però, i miei ricordi erano talmente confusi che mi ritrovai incapace di scrivere qualcosa di coerente sull'evento.
Avendo imparato dagli errori commessi precedentemente, per l'edizione 2015 avrei agito diversamente. Ancora una volta, gli impegni familiari mi avrebbero concesso un tempo limitato, però in questa occasione avrei atteso finché la mostra non fosse stata pienamente operativa, visitando soltanto alcune sale, ritenute interessanti. Risultato: eccomi qui, nello stesso giorno, a scriverne il resoconto. Per quanto riguarda la coerenza... ebbene, giudicate voi!
Ma, rispetto all'edizione 2014, non è cambiato solo il tipo di approccio. Quando la mostra iniziò ad essere organizzata, alcuni anni fa, si svolgeva in un luogo modesto (una villa storica, se non ricordo male) a Rockville, Maryland. Poi, ingrandendosi, fu spostata presso l'Hotel Sheraton, nel centro di Silver Spring, Maryland, altra località situata nei sobborghi del District of Columbia. L'edizione 2015 si è svolta nuovamente a Rockville, specificatamente presso l'Hilton Twinbrook, di cui potete vedere l'atrio nella foto in alto. Il viaggio in auto è stato un po' lungo per me (abito a Silver Spring), però devo ammettere che la nuova sede è più bella, per un motivo: l'Hilton è sufficientemente grande da ospitare la mostra su due soli piani, mentre allo Sheraton era suddivisa più o meno su quattro. Inoltre, gli ascensori dell'Hilton salgono e scendono a richiesta; quelli dello Sheraton salgono solo se azionati tramite le chiavi delle stanze, per cui se dovete salire occorre aspettare che qualche cliente lo usi e chiedere un passaggio.
Dopo essermi registrato, la mia prima fermata è stata presso la sala Luminous Audio Technology, Fern & Roby e VPI, per una piccola escursione nel mondo dell'heavy metal, non nel senso del genere musicale in dimostrazione (che, se la memoria non m'inganna, sembrava il solito onnipresente smooth jazz), bensì nel senso di apparecchiature di metallo massiccio, specificatamente il giradischi Fern & Roby, un dispositivo a due velocità (le solite, 33 ⅓ e 45 giri) che presenta una base in ghisa, di circa 32 kg di peso, e un piatto in bronzo che pesa circa 16 kg. Stando a quanto afferma il produttore, il piatto poggia su un cuscinetto di precisione a singolo punto di contatto, bilanciato dinamicamente a 1.000 giri al minuto. La trazione è fornita da una cinghia montata su una puleggia esterna e una lucetta, posta accanto al selettore di velocità, si accende quando quest'ultima, rilevata tramite una ruota dentata di precisione collocata sotto il piatto, oscilla a causa di piccoli scostamenti. La foto a sinistra mostra il giradischi completo, mentre quella a destra evidenzia lo stampo che costituisce la base.
Per caso, ho potuto chiacchierare, per alcuni minuti, con Christopher Hildebrand, uno dei responsabili di Fern & Roby, artefice dello sviluppo del giradischi. Ovviamente, la specifica dei 1.000 giri al minuto ha catturato l'attenzione di questo amante dei giradischi ad alta velocità di rotazione, per cui gli ho domandato se ci fossero progetti per implementare i 78 giri. Egli ha detto di averci pensato, ma già i 45 giri sono al limite estremo delle possibilità del motore attuale. Tuttavia, ha aggiunto che resta intenzionato a esplorare una simile possibilità e che ha anche parlato con il suo consulente software per creare un'applicazione in grado di permettere all'utente di impostare la velocità.
Fermata successiva, sala Ultra Audio, dove erano esposti, probabilmente, i diffusori più affascinanti che abbia mai visto: gli Ultra Audio a nastro, alimentati a valvole. Si dice che un'immagine vale più di mille parole: le foto qui accanto, probabilmente, valgono diecimila volte di più di quanto io riesca ad esprimere a parole. Tuttavia, vorrei spenderne alcune per dire che, sebbene abbia avuto poco tempo a disposizione per ascoltarli, quel poco che ho sentito era notevole. Non so come verrebbero accolti dalle consorti (ne parlerò più avanti), ma in ambienti contemporanei adatti farebbero di sicuro bella figura!
Per contrasto, il cabinet più bello, in senso tradizionale, era quello dei ricostruiti diffusori Quad ESL 57, sistemati nella sala Emia Audio. Emia preferisce “riprogettare” i diffusori anziché “ricostruirli” e ciascuno di essi è realizzato a mano, su richiesta. Le caratteristiche comprendono: bi-amplificazione integrata a triodi con trasformatori “su misura”, alimentazioni migliorate, pannelli rimessi a nuovo con pellicola in mylar da 3 µ e intelaiature, di livello “arredamento”, anch'esse su misura, agganciate ai pannelli tramite cerniere in ottone. La mia modesta fotocamera non è stata in grado di rendere giustizia all'adorabile qualità di un tale lavoro di falegnameria e la musica (che per fortuna non era il solito smooth jazz, bensì Teresa Berganza che si esibiva in un recital di brani spagnoli), supportata perdipiù da un Garrard 301 notevolmente modificato, era seducente. Le (non tremendamente sorprendenti) cattive notizie? Tutto questo lavoro “su misura” costa oltre 30.000 dollari. Inoltre, ogni coppia di diffusori è ricostruita da zero, sulle specifiche fornite dal cliente; vale a dire che, dopo aver fatto l'ordine, i tempi di attesa sono considerevoli. Detto ciò, questi diffusori sarebbero la mia scelta se i soldi non fossero un problema, sulla base di quanto l'edizione 2015 ha proposto.
Direi che sarebbe meglio aggiungere “e se lo spazio non fosse un problema”. Quando ho fatto vedere le foto a mia moglie, aspettandomi che ci avrebbe messo un attimo per dire che le Ultras non le piacevano ma che avrebbe subito apprezzato quei cabinet da arredamento che ospitavano le Quad, ella ha sentenziato che le seconde sono davvero belle ma troppo ingombranti, almeno a casa nostra. D'altra parte, ha ritenuto che le Ultras sarebbero straordinarie in una stanza adatta, specialmente se decorate con una pianta messa sopra a ciascuna di esse (!). Ora, mia moglie e io non siamo giardinieri e tutta la nostra flora è in seta. Prendendo a prestito un'azzeccata frase di Churchill: «Tutto questo serve a dimostrare che le donne restano un rebus, avvolto nel mistero, nascosto in un enigma.»
I diffusori Quad ESL 57 riprogettati da Emia - vista frontale e posteriore |
Forse l'inaspettato pollice verde di mia moglie si troverebbe a suo agio con i diffusori “vaso da fiori” Madison Fielding Piermont, esibiti nella sala Deja Vu Audio (qui a sinistra): si tratta di un prodotto pensato per un uso all'aperto, anche se, come i rappresentanti aziendali si sono affrettati a dirmi, può costituire un'aggiunta raffinata, ancorché armoniosa, per un ambiente domestico interno. Essi fanno parte di un intero catalogo di diffusori camuffati da vasi da fiori di diversi tipi. I caratteristici rivestimenti, sebbene a vederli ricordino vagamente carote cubiche di teak, sono attraenti, da un certo moderno punto di vista danese, contemporaneo, e con un'adeguata coltivazione essi, indubbiamente, risulterebbero, in un soggiorno, meno invadenti delle tradizionali “scatole” nere o delle torri. Purtroppo, non posso trasmettervi altro che un'impressione di come, in realtà, essi suonano. In parte, non è stata colpa dell'espositore; sono capitato in quella sala per caso o, più correttamente, ci sono stato trascinato dal rappresentante, proprio mentre me ne stavo andando, senza praticamente avere tempo a disposizione per un ascolto come si deve. Comunque, il fatto che i dischi dimostrativi non comprendessero quasi nessun brano di musica classica (ma molto smooth jazz) non mi è stato d'aiuto, e io ho davvero bisogno di materiale classico ragionevolmente familiare per farmi un'idea precisa (alla fine ci sono riuscito con qualche frammento del movimento lento di una delle sinfonie di Tchaikowsky, un tipo di musica con cui difficilmente è possibile stabilire i limiti di un diffusore). Posso dire che le Piermont sono appena moderatamente sensibili (se non ricordo male non arrivano a 90 dB, e quindi si consiglia un amplificatore piuttosto “muscoloso”) e che il loro prezzo si aggira sui 6.000 dollari la coppia.
Presso la suite Now Hear This, ho ricevuto un'accoglienza molto calorosa quando ho detto che l'amplificatore che ho a casa è uno Rogue Sphinx. Lì ho appreso che Rogue ha in cantiere una serie di migliorie da apportare allo Sphinx, che saranno adottate più avanti quest'anno. Tra di esse, verrà potenziato lo stadio phono, che già così si fa apprezzare, nonché l'amplificatore per cuffie; miglioramenti in vista anche per quanto riguarda il livello del rumore di fondo dell'amplificatore. Badate bene, nessuna di queste è un segreto; l'azienda stessa ha presentato la nuova edizione sul proprio sito: Rogue Audio.
A questo punto, passiamo nella sala con il suono migliore dell'intera mostra, grazie a un violoncello. No, non Cello, il marchio di prodotti audio, ma proprio un violoncello, lo strumento musicale (in inglese, violoncello si dice “cello”, che è appunto anche un marchio - NdT). Ovviamente, un violoncello è inutile senza un violoncellista e David Cope, padrone di casa della sala Audio Note, ha gestito splendidamente la cosa ingaggiando Vincent Belanger, un giovane canadese, il quale si esibiva, occasionalmente, nel corso della mostra. Quando sono arrivato, egli stava suonando The Swan di Saint-Saëns; eccovi una foto (a destra), anche se mi devo scusare per la qualità, piuttosto scura, ma non volevo disturbare la sua esibizione usando il flash.
Belanger si è dimostrato eloquente sia nel parlare sia nel suonare. Ha parlato del suo progetto in corso, che riguarda la registrazione di una raccolta di rari pezzi per violoncello, che sarà disponibile come download ad alta risoluzione. Gli ho domandato se ci fossero particolari difficoltà nel registrare un violoncello; egli mi ha risposto che il posizionamento dell'archetto sulle corde può influire parecchio sul suono dello strumento. Inoltre, abbiamo approfondito un po' il discorso sul posizionamento dei microfoni per la registrazione della sua raccolta, nonché sul rapporto tra il posizionamento stesso e il luogo in cui si svolge la registrazione.
E alla fine eccoci giunti al punto di congiunzione con le registrazioni vintage. Senz'ombra di dubbio, Audio Note è stata la prima azienda ad associare un esecutore dal vivo a un'apparecchiatura audio per mostrare quanto la seconda riesca a riprodurre fedelmente il primo. A partire dal 1916, l'azienda di Edison iniziò a inviare alcuni musicisti del proprio gruppo di registrazione in giro per il paese, affinché essi potessero esibirsi in grandi auditorium, accanto ai propri fonografi; a un certo punto dello spettacolo, le luci venivano spente e il pubblico era invitato a capire se a suonare fossero i musicisti o il fonografo. Quando le luci venivano riaccese, i musicisti non erano più sul palco. Presumibilmente, una percentuale sorprendentemente alta di spettatori non era in grado di notare differenze, sebbene abbia sentito, da qualche parte, uno dei musicisti affermare, anni dopo, che essi facevano in modo che il loro suono fosse il più possibile simile a quello riprodotto dal fonografo.
Naturalmente, la quantità di apparecchiature coinvolte in queste dimostrazioni d'epoca era differente da quella delle controparti moderne. Per questa mostra, Audio Note ha esposto la meccanica CDT Three, il DAC bilanciato DAC3.1X, il giradischi TT Two Deluxe provvisto di braccio Arm Three e testina IQ3, il pre-phono M3 e l'amplificatore Jinro Shochu 211 che pilotava diffusori E/SPe. La foto qui sopra mostra l'intera catena, tranne i diffusori.
Per contrasto, il sistema di Edison era un'unica unità, solitamente un fonografo Diamond Disc Chippendale C-250 cinese (in seguito rinominato C-19). Talvolta, il fonografo William & Mary W-250 (W-19) faceva gli onori di casa. I due modelli funzionavano allo stesso modo, differenziandosi soltanto a livello del cabinet. Le foto qui accanto mostrano il C-250. Esso, come il W-250, era dotato di un motore a doppia sospensione, il più potente di Edison: un arresto automatico (di solito meccanico, ma a volte elettrico a batterie), un “modificatore di tono” o controllo del volume, e la tromba più grande di Edison, utilizzata nei suoi fonografi di quel periodo. Questa combinazione di caratteristiche fece sì che questi dispositivi venissero chiamati Official Laboratory Models (modelli di laboratorio ufficiali) per scopi commerciali e a ciascuno di essi veniva applicata una targa, nella camera di riproduzione, proprio per quel motivo.
Facciamo una digressione: sul giradischi del macchinario visibile nella foto, c'è uno dei dischi per punta in diamante long-playing di Edison. Solo per questa serie Edison aveva stampato dischi da 12" (come quello in foto) per il grande pubblico. Come già detto in un precedente articolo, i dischi long-playing di Edison duravano 12 minuti per lato (quelli da 10") e 20 minuti per lato (quelli da 12"); tutti giravano a 80 giri al minuto. Questi non venivano mai utilizzati per le prove dei suoni, sebbene tutti fossero ricavati da comuni dischi per punta in diamante di durata standard. Per varie ragioni, la serie long-playing non ebbe successo commerciale, ma vale la pena osservare che, per poter riprodurre uno di questi dischi, era necessaria una delle cosiddette Long Playing Consoles (prodotte appositamente per questo scopo) oppure un'estensione long-playing da applicare a una macchina per dischi per punta in diamante già esistente; tra tutti, solo i modelli di laboratorio ufficiali, con i loro massicci motori a doppia sospensione, erano in grado di garantire una riproduzione sufficientemente prolungata, su un tracciato tortuoso, e di saper gestire i dischi long-playing da 12".
Ebbene, se un'immagine vale più di mille parole, per l'audio una registrazione ne vale un milione. Restando in tema di musica per violoncello, ecco una registrazione su disco per punta in diamante di Edison del violoncellista Paolo Gruppe nell'arrangiamento di The Song to the Evening Star dal Tannhäuser di Wagner. Si tratta di una delle prime registrazioni del catalogo di Edison, risalente al 1913, ed è stata riprodotta dal mio fonografo per dischi per punta in diamante “Edisonic Schubert” del 1928 circa. Per informazione, le macchine di Edison, che erano due (la Schubert e la Beethoven), rappresentavano la penultima debole risposta alla linea Orthophonic di Victor, progettata per riprodurre le prime registrazioni elettriche. Le Edisonic avevano una tromba un po' più grande di quella presente nella serie Standard Laboratory Model, ma i loro meccanismi erano molto simili. In una di queste avevo inserito uno dei primi modelli di riproduttore (testina di riproduzione) utilizzato all'epoca in cui la registrazione venne pubblicata; la dotazione standard per le Edisonic era costituita da un progetto successivo ottimizzato per l'ascolto ad alto volume, a costo di una maggiore usura del disco. Il violoncellista olandese (di nascita) Paolo Mesdag Gruppe (1891-1979) era figlio di un noto pittore, Charles Gruppe. A nove anni, Paolo entrò al Conservatorio Hague; presto, egli si trasferì al Conservatorio di Parigi. Successivamente si stabilì negli Stati Uniti, dopo aver intrapreso un tour biennale che iniziò nel 1909. In seguito, insegnò e continuò a fare concerti, a suonare in ensemble e in trasmissioni radiofoniche fino agli anni '40. Per quanto ne so, incise solo per Edison.
© 2016 David Hoehl - drh@tnt-audio.com - www.tnt-audio.com
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